(WSI) – Ha il sapore anacronistico di una svendita per nababbi. Due Picasso a soli 24 milioni. E per giunta di dollari non euro. L’offerta — reclamizzata da Christie’s e Sotheby’s — riguarda opere presenti nelle aste di «Impressionist & Modern » in calendario a New York il 5 e il 6 di maggio.
Mancano pochi giorni alle attesissime e consuete auction primaverili della Big Apple. E l’atmosfera che circola riporta alla memoria il titolo del pamphlet di Kierkegaard: «Timore e tremore». Se è vero che il mercato dell’arte sembra in qualche modo eccitarsi per la spasmodica ricerca di asset alternativi da parte di investitori depressi e sfiduciati, all’orizzonte aleggia il fantasma di cattivi ricordi.
Ottant’anni or sono, durante il tracollo del ’29, il mercato dell’arte sembrò per alcuni mesi presentarsi come un’isola felice. Tanto che nel maggio del ’30 un Matisse — pagato 20 mila franchi francesi nel 1926 — fu aggiudicato a 165 mila. Ma poi cominciò un lunga e verticale caduta delle quotazioni.
Nel ’28 a Parigi un capolavoro di Monet valeva anche 481 mila franchi. Mentre nel 1934 «Le Parlament de Londre au crépuscole» fu battuto a 35 mila. Nel ’37 un Picasso che dieci anni prima costava quasi 10 mila sterline, venne battuto a 157. Anche Braque, Degas e perfino Turner passarono di mano a cifre ridicole e decapitate. Certo allora non c’era la globalizzazione. Ma la paura rimane.
La strategia che le due major dell’arte stanno mettendo in campo è fortemente conservativa.
Ma anche di stimolo per rinnovare la fiducia. Nei cataloghi di arte moderna, impressionista e contemporanea vengono presentate poche opere a stime inferiori anche del 50% rispetto a due anni fa. Mentre crescono di volume le aste che presentano Old Master e alto antiquariato.
Claudia Dweek, co-Chairman di Sotheby’s Italia è di poche ma sintetiche parole: «Questa è una crisi strutturale che va ben oltre l’arte. Noi cerchiamo di affrontare il nostro mercato in modo realista e misurato. C’è da dire che forse proprio a causa delle turbolenze finanziarie oggi molti osservano con più interesse e fiducia gli investimenti in arte, rispetto a dieci anni fa».
Il Picasso in asta da Christie’s, il prossimo 6 maggio, ha una storia curiosa. Collegata direttamente alla débacle finanziaria vissuta negli States.
Viene dalla collezione del ricco e famoso artista contemporaneo Julian Schnabel. Il quale, pressato dai debiti, ha pure ipotecato alcune sue opere all’Art Capital Group (una sorta di moderno «Monte di pietà ») in cambio di 8 milioni di dollari. In America la moda di ipotecare opere d’arte sta riscuotendo successo. A San Francisco un’altra società del genere, la ArtLoan, chiede sino al 24% di interessi prestando per soli diciotto mesi un terzo del valore stimato del bene. Chi non rientra perde il quadro. In asta l’unico rischio ovviamente è che vada invenduto e torni a casa.
Il quadro di Schnabel si intitola «Femme au chapeau» ed è stato dipinto da Picasso nell’agosto del 1971, due anni prima della sua morte. Gli esperti di Christie’s l’hanno stimato tra 8 e 12 milioni di dollari.
Per la cronaca, nel maggio del 1990 una versione simile (eseguita nel luglio dello stesso anno) fu venduta per 3,2 milioni.
Quest’anno il catalogo di Sotheby’s presenta 36 capolavori. Tra cui un bellissimo Picasso del 1938, «La fille de l’artiste à deux ans et demi avec un bateau», stimato tra i 16 e i 24 milioni. Mentre una «Natura morta» sempre di Picasso, del 1944, è valutata 5-7 milioni.
Che accadrà? Molti scommettono sulla capacità mediatica di Picasso, sul low profile delle case d’asta e sul ritorno all’ordine dei prezzi per attrarre investitori allo sbando. Ora nel valore di un dipinto conta solo la massima qualità e la storia.
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