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ASSE PADANO: ASSALTO PER SPARTIRSI IL SANPAOLO

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Dove fallì la magistratura riesce la politica. I vertici di Sanpaolo Imi hanno resistito agli avvisi di garanzia sul crack Tanzi e agli arresti dei promotori dalla controllata Fideuram, ma ora sono travolti dalla più classica lotta sulla nomina.

«Quello che sta avvenendo su Sanpaolo è un vero e proprio ritorno al passato – commenta Enrico Letta, responsabile economico della Margherita – un ritorno alle logiche spartitorie della prima Repubblica», quando i vertici delle banche si decidevano con il Cencelli. Il riferimento evidente è agli interventi e alle pressioni pubbliche e private che sono arrivate da Forza Italia e dalla Lega nel tentativo di influenzare le nomine in vista dell’assemblea del 29 aprile.

I nomi dovevano uscire dal concerto delle varie fondazioni (la Compagnia di Sanpaolo ha il 14,8%, le Fondazioni Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo ha il 10,8%, e quella di Bologna il 7,7%) sentendo anche i soci stranieri, gli spagnoli del banco di Santander (8%). Il presidente designato, e l’unico abbastanza sicuro, è Enrico Salza, mentre per il resto la battaglia politica infuria.

Renzo Giubergia, banchiere di lungo corso scelto dalle fondazioni per registrare i vari pareri, sta ottenendo un certo consenso per un’impostazione che vedeva come vice (Orazio Rossi) e un solo amministratore delegato al posto dei tre attuali. Tra i tre ad in carica, Alfonso Iozzo sembrava il candidato con più chanche a rimanere e questo ha fatto infuriare legittimamente il suo omologo, Luigi Maranzana (dimessosi con una lettera) e, un po’ meno comprensibilmente, il responsabile per il credito di Forza Italia, Guido Crosetto, che si è lamentato con Giulio Tremonti del fatto che le fondazioni decidano «senza rendere conto a nessuno».

D’altronde, Iozzo non piace nemmeno alla Lega, perché definito «troppo vicino ai Ds». Il polverone ha avuto effetto e ora Iozzo, marchiato come nemico del governo, non riscuote più il totale appoggio delle fondazioni, così i giochi si sono riaperti. Si cerca una mediazione che dovrebbe terminare con la designazione di un direttore generale forte (dopo un apposito cambio dello statuto) magari di area opposta, o trovando un nuovo amministratore delegato completamente esterno e sufficientemente non schierato.

Così, se solo qualche mese fa si discuteva di come eliminare l’elemento politico delle fondazioni dall’azionariato delle banche, ora si compie un ulteriore passo indietro. Per Forza Italia le fondazioni decidono in maniera troppo «autonoma» rispetto ai partiti (di maggioranza). Tra l’altro questa è una prerogativa che a Torino coltivano da sempre, anche quando le banche erano effettivamente di proprietà pubblica e le nomine si decidevano nelle segreterie dei partiti.

Proprio il Sanpaolo, storicamente l’istituto degli Agnelli (l’avvocato Franzo Grande Stevens sarà il prossimo presidente della Compagnia), e comunque forte di un tessuto industriale evoluto, si era spesso emancipato chiamando banchieri senza particolari affiliazioni. Ora è in corso l’offensiva della peggiore politica e la conclusione della vicenda indirizzerà anche i prossimi cambi al vertice nei grandi istituti, visto che in tutti le fondazioni sono decisive.

Nel frattempo, tra il top management l’insicurezza sta generando malcontento e oltre a Maranzana sono dati in partenza molti altri responsabili di primo livello, a tutto discapito del capitale umano.

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