
Roma – La proposta di Ichino e’ antiquata, perche’ assicura garanzie ai soliti e non contribuisce a risolvere il problema del precariato. Lo sostiene l’esponente laburista del Partito Democratico Cesare Damiano. “Quella di Ichino e’ una proposta antiquata, perche’ per i vecchi ci si rifara’ all’articolo 18, per gli altri invece si vedra’ piu’ avanti, magari verranno risarciti nel caso vengano licenziati”, ha detto in un intervento a Rainews24 l’ex ministro del governo Prodi.
Per il membro della corrente laburista del partito di centro sinistra sono sbagliate le opinioni del ministro Fornero in materia di rimodernizzazione del sistema lavoritivo, in particolare per quanto riguarda la proposta del contratto unico, che l’esponente del PD ritiene “contradditoria”.
“Ichino ha imposto questa formula del contratto unico, che di unico ha poco. Si accompagna ad altri contratti quindi non sara’ l’unico contratto. Si intende uniformare le condizioni di quelli che, come i giovani, entreranno nel lavoro oggi. Ma se alle vecchie generazioni si garantisce la protezione dell’articolo 18 e ai figli non si sancisce, si creano differenze strutturali” e la situazione rischia solo di peggiorare.
La proposta lanciata da Ichino prevede la cancellazione di contratti a progetto e simili, con l’obiettivo di abolire le forme di lavoro precario. L’assunzione a tempo indeterminato avverrebbe subito con un periodo di prova di sei mesi e a seguire un regime di protezione crescente con la durata del rapporto di lavoro. Tra gli ammortizzatori sociali, verrebbe introdotta un’assicurazione contro la disoccupazione e maggiori indennita’, la cui copertura economica spetterebbe in parte allo stato e in parte ai datori di lavoro.
La riforma cosi’ come si presenta – e se cosi’ sara’ impostata – ha indubbiamente ancora dei limiti, ma a Fornero, Monti e Ichino va riconosciuto il coraggio di aver per la prima voltra avanzato un’idea volta all’apertura del mercato del lavoro, per tentare di risolvere il problema della precarieta’. L’articolo 18, che fa parte dello Statuto del Lavoro 1970, impedisce il licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo. Secondo gli industriali blocca la flessibilita’in uscita, per i sindacati e’ una “norma di civilta’”.
Nicola Rossi, senatore iscritto al Gruppo Misto, anche lui intervenuto ai microfoni dell’emittente pubblica, si schiera al fianco del ministro del Welfare Fornero, dicendosi contrario all’ostruzione dei sindacati. “Sull’articolo 18 stiamo parlando dei futuri occupati. Per questo le unioni sindacali, secondo Rossi, dovrebbero domandarsi piuttosto come intendono contribuire a rimodellare il sistema lavoritivo, dagli ammortizzatori sociali alle altre forme di tutela”, anziche’ ostinarsi sulla missione di salvaguardia dell’articolo 18.
Ci sono temi piu’ urgenti da affrontare per flessibilizzare il lavoro. Anche per gli esperti di diritto di lavoro, non e’ l’articolo il problema della rigidita’ in uscita e in entrata del mercato del lavoro italiano.
Secondo l’Ocse il nostro mercato del lavoro non e’ piu’ rigido di altri paesi comparabili (Francia, Germania, Spagna, Olanda) e non esiste alcun fondamento empirico dell’opinione che una maggiore flessibilita’ in uscita aumenti l’occupazione. Quanto alla maggiore flessibilita’ in entrata modificando l’articolo 18, secondo diversi docenti di diritto del lavoro, vi sono evidenze contrarie come il caso spagnolo o italiano.
“Il tavolo con i sindacati deve riguardare tanti elementi, intorno al mercato del lavoro, non limitarsi all’articolo 18. Gli ammortizzatori sociali e il sistema di welfare hanno un’importanza ancora maggiore. Salvare una parte della forza lavoro dall’applicazione del contributivo all’ora – sottolinea Rossi – l’abbiamo fatto 15 anni fa. Applicarlo a tutti sarebbe stata invece la scelta giusta”.
Rossi e Damiano sono entrambi consapevoli che mantenere lo status quo per quelli che hanno gia’ un lavoro e escludere gli altri, i giovani, sarebbe l’errore piu’ grave possibile. La via da percorrere e’ ridurre la forchetta tra le due generazioni, non ampliarla.
A mettere tutti d’accordo e’ il fatto che il problema principale da risolvere rimane sempre quello dei costi. Se all’impresa conviene, assumera’. Si ma dove si troveranno i soldi? Proprio oggi e’ arrivata un’altra doccia fredda per le aziende italiane, con gli ordini all’industria che in ottobre sono calati di -4,8% rispetto all’anno scorso. La contrazione su base mensile e’ stata del -1,6%.
In un paese dove la spesa pubblica e’ oltre il 53% del Pil, la pervasivita’ delle regole e della burocrazia e’ amplissima, “non si puo’ certo dire che siamo in un paese dal liberismo selvaggio”, sottolinea Rossi. Ecco perche’ “porre dei veti in un momento in cui siamo portati a ridisegnare pezzi interi della nostra economia, non porta a nulla”.
In un’intervista ieri Fornero ha fatto capire che l’esecutivo e’ pronto ad agire su tutti i fronti, precisando che “non ci sono terreni inesplorati” sulla riforma del lavoro, senza pero’ esplicitamente citare l’articolo 18. Le dichiarazioni hanno scatenato le proteste di Cigl e Cisl, che promettono proteste nel caso venga toccato l’articolo per loro sacro.
“I salari sono bassi, questo non ci sfugge”, ha aggiunto oggi il ministro, in risposta a Raffaele Bonanni (Cisl), che aveva chiesto di occuparsi di misure per rivedere al rialzo le buste paga, piuttosto che “facilitare i licenziamenti delle imprese”.