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ANCHE NEL DESTINO DI ALITALIA C’ E’ UN 8 SETTEMBRE

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(WSI) – Lontano da ogni valutazione sul valore e sulle prospettive dell’azienda, il prezzo del titolo Alitalia da mesi indica solo la probabilità che gli operatori danno alla compagnia di bandiera di sopravvivere: ieri a metà giornata valeva 0,19 centesimi, storico record negativo segnato dopo una picchiata del 7%. Poco consolante il recupero di fine giornata (-5,5%).

A scatenare le vendite e il pessimismo non sono stati solo i numeri messi in evidenza dalla società. Che Alitalia sarebbe finita con le casse vuote a settembre lo si sapeva da marzo, il peggioramento estivo che ha ridotto il fatturato estivo di 17 milioni rispetto alle previsioni è solo una leggera accelerazione su una china già molto ripida. Gli investitori Alitalia avevano già segnato sul calendario il 15 settembre (guarda caso più o meno la scadenza di quei 20 giorni), perché è il termine ultimo che l’azienda si era data per trovare un accordo pieno con le nove sigle sindacali ammesse al tavolo delle trattative.

Se si mancasse quel passaggio, il presidente Giancarlo Cimoli ha chiaramente fatto capire che non avrebbe senso usufruire del prestito ponte da 400 milioni già concordato con Dresdner Bank; il passo successivo, invece, sarebbe la nomina di un commissario e la conseguente liquidazione.

E proprio questa ipotesi ieri sembrava la più probabile a chi movimentava gli oltre 40 milioni di azioni Alitalia in Borsa. Anzi, c’è un’assemblea degli azionisti convocata per l’8 che potrebbe già vedere il management alzare bandiera bianca. Insomma dopo un mese di incontri tecnici e aperture di credito incrociate siamo arrivati di fronte al momento più critico della trattativa: quello sul personale e della struttura della eventuale nuova Alitalia.

L’eccesso di dipendenti rispetto al fatturato prodotto e alla posizione nel mercato è un dato strutturale che le precedenti gestioni avevano affrontato prevedendo tagli più o meno pesanti (tra l’altro è una soluzione usata da tutti gli altri concorrenti), e tutte erano uscite sconfitte di fronte all’opposizione sindacale. Cimoli ha seguito una strada diversa con la distinzione delle due società operative, Alitalia Fly e Alitalia Service sotto un’unica holding, con la seconda candidata a una ristrutturazione più pesante, mitigata dall’arrivo di nuovi partner, magari statali (Fintecna, Finmeccanica) e la prima destinata a essere potenziata per riconquistare quote di mercato. Finora non si erano fatti numeri sui possibili esuberi derivanti da questa scelta e l’intenzione del management era quella di affrontare il tema alla fine, dopo essersi conquistato la fiducia dei sindacati, punto su cui tutti i predecessori avevano fallito.

Per tutto agosto sono stati illustrati programmi d’investimento, il potenziamento di flotta e delle tratte a lungo raggio nonché un piano “anti-sprechi” per produrre un taglio dei costi sull’acquisto di beni e servizi tra i 33 e i 53 milioni di euro entro il 2004 e ulteriori risparmi per circa 200 milioni nel 2005. Infine, due giorni fa la proposta più dura: annullare i contratti esistenti e rinegoziarli. Agli occhi di Cimoli, rimodulando nei contratti i costi per dipendente, i sindacati hanno la possibilità di ridurre al minimo il numero degli eventuali esuberi. La reazione è stata immediatamente negativa, a cominciare dal Sult, molto forte nel sindacato di terra, ma a ben vedere non mancano posizioni aperturiste. Tutti si dicono contrari a diktat e disposti a un confronto vero, ma proprio la riapertura dei contratti sarebbe l’occasione per realizzarlo.

Ieri, però, operatori e analisti puntavano decisi verso l’ipotesi liquidazione, non solo per la convinzione diffusa che né l’operazione di recupero di fiducia nei sindacati né lo spauracchio della liquidazione si riveleranno decisive per trovare una via d’uscita; ma anche perché lanciavano lo sguardo più in là. Un’Alitalia salvata all’ultimo giorno sarebbe comunque chiamata a una clamorosa “rimonta competitiva”. Nel primo semestre 2004, i passeggeri trasportati dalle compagnie europee sono stati quasi 148 milioni ossia il 6,3% in più rispetto al 2003, mentre la compagnia ha registrato un calo del 4,3%, ha una quota di mercato nazionale inferiore al 50% e percentuali di riempimento degli aerei inferiori alla media europea, il tutto in contesto competitivo che mette in difficoltà le società più floride ed organizzate. Come dire che credere in un lieto fine anche dopo il 15 è una scommessa troppo azzardata per tutti.

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