George W. Bush non chiuderà i problemi interni con la stessa facilità con cui si è sbarazzato di Saddam. Le cose negli States sono decisamente più complicate. La guerra è vinta ma le difficoltà economiche restano. E la ripresa ancora lontana.
L’euro, ieri, è tornato a toccare la soglia di 1,10 dollari, il livello più alto da cinque settimane. E la rincorsa pare destinata a continuare perché il dollaro – ora investimento a rischio – sarà una delle vittime della fine del conflitto, anche a causa dell’enorme deficit (oltre 40 miliardi di dollari) da finanziare.
La moneta è lo specchio dello stato di salute di un’economia. Gli ultimi dati congiunturali (produzione industriale in calo dello 0,5%, sussidi di disoccupazione in crescita di 31 mila unità rispetto alle stime, superindice economico in discesa dello 0,2%) sono tutti negativi e in settimana arriveranno nuovi indicatori, previsti in chiaroscuro: domani sarà la volta degli ordini di beni durevoli di marzo, previsti in calo dello 0,8% dopo il meno 1,6% di febbraio; venerdì ci sarà la prima stima sulla dinamica del pil relativa al primo trimestre dell’anno, che dovrebbe segnare una crescita del 3% contro l’1,4% del trimestre precedente; sempre venerdì è atteso l’indice di fiducia del Michigan.
Oggi sarà pubblicato il Beige Book, il periodico rapporto della Federal Reserve sullo stato di salute dell’economia. Sarà il primo del dopoguerra e per questo di particolare rilievo per capire se Alan Greenspan, vorrà dare un ulteriore spinta all’economia ritoccando i tassi (già ai minimi da oltre 40 anni) nelle prossime riunioni del board previste per il 6 maggio e il 25 giugno. Lo stesso Greenspan (77 anni) è stato operato ieri per un tumore benigno alla prostata.
Hanno ripreso fiato, così, i rumours sulla sua successione, dopo 17 anni al timone della Fed. Il suo mandato scadrà a giugno del 2004 e per il dopo sono in lizza il sottosegretario al Tesoro John Taylor, il consigliere e professore ad Harvard Martin Feldstein, e l’attuale vicepresidente della Fed Roger Ferguson. Ma Bush ha gelato tutti: «Greenspan – ha detto – deve essere riconfermato». Facendo, tuttavia, aggiungere al suo portavoce di non conoscere la disponibilità dell’anziano presidente a un nuovo mandato.
Bush punta sul suo piano di tagli fiscali per rilanciare consumi, investimenti e occupazione. Piano contestato, a febbraio, dallo stesso Greenspan, che aveva invocato un maggiore rigore sul controllo del disavanzo; dai democratici che lo considerano a esclusivo vantaggio dei più ricchi; ma anche da un’agguerrita minoranza di repubblicani preoccupati anch’essi dal rischio di voragine nei conti pubblici.
Da qui l’ipotesi di una disponibilità del Tesoro di accettare un compromesso con il Congresso: riduzione da 726 miliardi di dollari a 550 miliardi, sempre in 10 anni, dei tagli che prevedono, tra l’altro, il superamento della doppia tassazione dei dividendi. Ma la determinazione con cui Bush ha difeso ieri il progetto di detassazione è stata letta come una presa di distanza dall’ipotesi di compromesso.
Sullo sfondo resta Greenspan: la Fed sta anche studiano un piano di emergenza che prevederebbe la compravendita di titoli di stato per immettere liquidità nel sistema bancario e abbassare i tassi a lungo termine. Bush dipende da Greenspan e Greenspan – il “Maestro” nominato da Reagan – ha fatto il successo di Clinton con otto anni ininterrotti di crescita. Bush lo sa, e alle elezioni manca solo un anno.
Copyright © Il Riformista per Wall Street Italia, Inc. Riproduzione vietata. All rights reserved