Giuseppe Turani e’ editorialista di La Repubblica. Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.
(WSI) – Mentre fabbriche e uffici cercano di tornare alla normalità pre-festiva (cosa impossibile, purtroppo, per molti, che riaprono a scartamento ridotto), nei centri di ricerca si continuano a fare studi per capire quale futuro immediato ci aspetta. Le attenzioni maggiori, ovviamente, sono riservate agli Stati Uniti, che sono sia il cuore che il destino della crisi in corso.
Se il gigante a stelle e strisce si risolleva rapidamente, allora anche gli altri possono cominciare a respirare. In caso contrario, non resta che rimanere tutti in stand-by.
Come è facile immaginare, ci sono tante divergenze di opinioni e tanti scenari diversi. Una certa convergenza, però, sta maturando su uno schema che oggi va di massima (ma potrebbe cambiare la settimana prossima), che non è molto consolante, ma che sembra molto realistico.
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Il peggio americano, si dice, dovrebbe essere rappresentato dall´ultimo trimestre del 2008 (alle nostre spalle) e dal primo trimestre del 2009 (che abbiamo appena cominciato a percorrere). La crescita dovrebbe arretrare del 5-6 per cento nel quarto trimestre 2008 (dati annualizzati) e del 3-4 per cento nel primo. Si tratta di arretramenti molto forti. Basti pensare che fino a non molto tempo fa era accaduto che numeri del genere rappresentassero avanzamenti trimestrali e non arretramenti. Quindi c´è una vera e propria inversione di rotta.
Poiché la tendenza negativa, però, non si arresterà subito, ma proseguirà, sia pure con minore intensità, il fondo della crisi, per quanto riguarda l´America, dovrebbe essere toccato nel terzo e quarto trimestre del 2009. Per quel periodo ci si aspetta una disoccupazione che potrebbe aver raggiunto anche l´8,5 per cento (oggi è al 7,2), ma qualcuno dice che potrebbe anche essere superato il 9 per cento, sia pure di poco.
Da quel momento in avanti, ma ormai saremo nel 2010, i dati macro-economici americani dovrebbero cessare di essere terribili per diventare positivi o negativi, ma in misura molto moderata: e questa sarebbe l´uscita dalla crisi (per gli Stati Uniti).
E qui si innesta un problema quasi filosofico, ma di importanza cruciale. E cioè: di che tipo sarà l´uscita dalla crisi? Sarà un´uscita “alla giapponese”, con tassi di crescita dell´economia praticamente vicini a zero per anni e anni? Oppure sarà un ritorno alla situazione pre-crisi finanziaria?
In sostanza, a partire dal 2010 l´America sarà un paese in grado di respirare, ma niente di più, o sarà un paese che tornerà a correre? L´opinione più condivisa, oggi, sostiene che nessuna delle due cose si verificherà. Nel senso che dal 2010 in avanti l´America andrà in ripresa vera. Solo che sarà una ripresa in tono leggermente minore. Per essere più chiari: oggi la crescita potenziale degli Stati Uniti è intorno al 3 per cento (quando tutti i fattori della produzione sono usati al meglio). Dal 2010 questa crescita potenziale si ridurrà al 2,5 per cento, forse anche un po´ meno.
E questo non per ragioni misteriose, ma per un fatto molto preciso. A quel punto, nel 2010, gli Stati Uniti si ritroveranno ad avere ancora un sistema bancario-finanziario ferito e mal funzionante. E senza un tale sistema a regime il mondo produttivo non potrà che esprimere solo una parte delle sue potenzialità perché gli mancherà appunto il pieno appoggio di un sistema finanziario capace di gestire i flussi di risparmio e le necessità di credito e di finanziamento delle imprese.
Nel 2010, insomma, l´America sarà (nonostante gli sforzi di Obama) ancora un paese in parte zoppo, e quindi dovrà muoversi più lentamente. La velocità “normale” (sopra il 3 per cento) potrà tornare solo quando il sistema bancario-finanziario avrà ripreso a funzionare in modo completo e con regole non troppo pesanti.
Se dall´America ci si sposta in Europa, lo scenario non cambia di molto: basta disegnarlo un po´ più piccolo. Se la crescita potenziale post-crisi in America sarà del 2,5 per cento, in Europa sarà fra l´1,5 e il 2 per cento. A meno che i dati sull´andamento della Germania nel primo trimestre 2009 (che saranno orribili) non inducano, ma è difficile, la Banca centrale europea (che si riunisce proprio giovedì, per la prima volta quest´anno) a operare un taglio secco al costo del denaro per dare una spinta alla congiuntura. Ma nessuno si fa molte illusioni. E quindi l´Europa si muoverà poco sopra l´1,5 per cento.
Questo scenario, che già non è entusiasmante, presenta dei rischi? Sì, due soprattutto. Il primo è di tipo politico: se la situazione internazionale si aggrava e se i prezzi delle materie prime decollano, allora saranno guai seri.
Il secondo pericolo si chiama Cina. Se quel grande paese (che ha le sue difficoltà) riduce la propria crescita dal 10 all´8 per cento, va ancora bene e tutto procederà come previsto.
Se invece la Cina dovesse ridurre la sua crescita al 4 per cento, questo rappresenterebbe un serio problema: meno esportazioni verso quell´area per i paesi occidentali e meno importazioni in Occidente di prodotti cinesi a buon mercato. Il cielo aiuti la Cina, quindi. E anche noi.
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