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ALLEANZA ASSICURAZIONI E LA PROVA DEI NUMERI

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Alleanza Assicurazioni, leader italiano nel comparto delle polizze vita, è una società con indicatori di redditività positivi (ove non brillanti) e con performance di livello indiscutibile. Quelle che oggi sembrano delle precisazioni (o finiscono con l’assumere quasi la veste di scuse o “prove a favore”), erano fino a qualche giorno fa delle affermazioni pleonastiche. Almeno fino a quando mercoledì il management della società non ha incontrato gli analisti: giovedì il tracollo in borsa.

Il piccolo investitore si è trovato del tutto spiazzato, se non stupefatto, ad assistere impotente a una serie di sospensioni per eccesso di ribasso, senza riuscire a capire le ragioni della capitolazione di una società fino al giorno prima ritenuta solida e più che profittevole. La risposta è in un fraintendimento sui dati diffusi dalla società che sono usati a lungo come base dagli analisti per identificare il valore teorico del titolo: numeri che nella realtà sono inferiori a quanto finora creduto per una differenza tra lordo e netto.

Il confronto con i nuovi dati ha costretto le maggiori case di investimento a rivedere il proprio giudizio sul titolo e il prezzo obiettivo di riferimento. I gestori, invece, hanno alleggerito le proprie posizioni rispetto a una società con prospettive inferiori alle precedenti valutazioni (solo giovedì è passato di mano il 20% del flottante, con volumi pari a 35 volte la media giornaliera). Solo che la differenza tra vecchia e nuova valutazione teorica del titolo (il 40% circa) corrisponde a un prezzo obiettivo che risulta comunque superiore rispetto alle attuali quotazioni: per cui ci si trova ora con la situazione paradossale che l’azione quota a sconto sui fondamentali. Eppure in questo momento “caldo” il titolo potrebbe non essere ancora una buona occasione d’acquisto, in quanto l’accumulo potrebbe esporre alla volatilità e al rischio di ribasso legato all’effetto psicologico di trascinamento (basta valutare quanto avvenuto a tutti gli assicurativi sul finire della settimana, anche se non direttamente connessi con la vicenda…).

La valutazione di una società assicurativa si basa su tre pilastri: l’apprisal value, l’embedded value e la nuova produzione. Il primo è il parametro più generale, che combina il patrimonio netto (comprensivo di plusvalenza implicite), con il portafoglio di polizze già acquisite e quelle di nuova acquisizione e serve per determinare il valore intrinseco della società; dal cui confronto si ricava la misura del premio o dello sconto reale sul titolo. Il secondo esprime il valore intrinseco dei proventi delle polizze pluriennali attualizzati. Il terzo è il punto nodale, che, considerato al netto dei costi, è alla base della rappresentazione dinamica della performance della società e fornisce la misura del valore aggiunto che nell’esercizio si è riusciti a creare. Il problema è che per avere il giusto peso dello sviluppo effettivo, il dato di nuova produzione deve essere appunto considerato al netto dei costi di acquisizione e cioè di quegli oneri legati alle retrocessioni, agli agenti, al marketing, alla struttura… E’ prassi consolidata nella finanza internazionale che questo valore sia comunicato quindi netto, cosa che Alleanza ha fatto solo mercoledì, lasciando che gli analisti per un anno emettessero report e valutazioni positive basate su cifre errate. L’errore degli analisti è stato poi amplificato dal fatto che la nuova produzione netta viene pesata attraverso un moltiplicatore che tiene conto della capacità della società di rendere persistenti i risultati reddituali e di crescita; cosa che ha fatto lievitare lo sbaglio tra le 20 e le 34 volte. Ma si tratta di 9000 miliardi di lire che non vanno però sottratti alla capitalizzazione di borsa, ma al valore stimato: non a caso dai broker non è arrivato alcun rating SELL (vendere); sebbene i BUY (comprare) siano stati generalmente corretti e ridotti a HOLD (tenere).

Tra l’altro il travolgente malumore che ha interessato il titolo (con vendite “da panico” anche degli investitori retail) ha anche fatto ignorare l’incremento del tasso di attualizzazione usato dalla società per omologarsi alle metodologie della controllante Generali: la redditività ne è risultata compressa e quindi la crescita a due cifre appare a maggior ragione di valore. Tra l’altro la stessa incidenza dei costi per appena il 40% testimonia l’efficienza della società, dato che la percentuale resta in linea con la media di settore se non inferiore rispetto ai maggiori concorrenti. Inoltre, l’indicatore di “appetibilità” del titolo in relazione al portafoglio (dato dalla differenza tra la capitalizzazione e l’embedded value divisa per la nuova produzione) risulta inferiore (dando quindi un segnale di profittabilità) rispetto a quello di concorrenti come Generali e Mediolanum (anche se superiore a quello di Ras e in linea con quello di Fideuram).

L’analisi della società mette in luce come Alleanza stia compiendo una variazione di modello che la porterà a diventare da struttura forte monoprodotto-monoservizio a player globale; sfruttando come punto centrale la rete di distribuzione e il suo governo pieno, rivolto al riorientamento di quest’ultima come leva strategica. E questo per far fronte a uno scenario caratterizzato da maggiore cultura del risparmio e da bisogni più articolati di gestione globale, che certo non possono essere soddisfatti dagli obsoleti titoli di stato. L’obiettivo è quindi di crescita con profittabilità, non solo attraverso i volumi ma con servizi a valore aggiunto, con una gestione continua del risparmio del cliente. Del resto, il mercato diventa sempre più competitivo e frazionato, con la complessità legata al nuovo intreccio di canali e di forme di concorrenza, alla volatilità finanziaria e di sistema: un mercato quindi guidato da una domanda sensibile e articolata e non da un’offerta basata su pochi prodotti ripetuti: il prodotto deve “customizzarsi”.

Il ramo vita potrà beneficiare non solo del fatto che la sua incidenza rispetto al prodotto interno lordo (PIL) è in Italia ancora molto inferiore alla media europea (3,5% contro il 6%), ma soprattutto delle potenzialità del mercato che sono arricchite da fattori di trend e leggi empiriche che lanciano segnali incoraggianti (come l’invecchiamento della popolazione, la riforma del welfare state, il gap di domanda previdenziale sull’Europa, la maggiore ricchezza rispetto al PIL sulla fascia alta d’età). Ma il solo fatto che nel 2001 si verificheranno variazioni fiscali profittevoli non comporterà una semplice e indifferenziata esplosione indotta sui premi: il successo sarà nelle strategie e soprattutto nell’execution e nella coerenza.

Alleanza è un network che può contare su un sistema altamente ramificato: e questo si sposa con la strategia di essere un player globale, che sostituisce quella di semplice distributore di un prodotto di successo. Del resto, dopo l’ubriacatura di internet tutti i mercati stanno riscoprendo il valore della rete di distribuzione, nella quale Alleanza ha sempre creduto. Oggi quindi la società può contare su un network diretto e indiretto (attraverso partnership) di promotori, oltre che sugli agenti. Tra l’altro la ricerca di promotori è sempre avvenuta dall’interno, formando con grande impegno il proprio personale fidelizzato al marchio. Per Alleanza il web non è stato e non è un canale per spingere sui volumi ma per ridisegnare il ciclo di business, con il collegamento costante e in tempo reale delle informazioni fornite dalla base dati e dai profili-cienti. La società ha anche alle spalle la forza delle Generali, con la quale ha articolato un rapporto che ricerca sinergie sul fronte dei costi e autonomia sui fattori che sono fonte di ricavi.

La struttura di Alleanza è quindi fortemente articolata proprio per rispondere a una domanda completa: assicurazioni vita, asset management, prodotti finanziari, canale distributivo (tradizionale, promotori finanziari e accordi di bancassurance), servizi del gruppo e investment banking. Quindi, sebbene il mercato vita in Italia sia generalmente in rallentamento, Alleanza risulta ben posizionata per raccogliere la sfida: ecco perché, nonostante un contesto mutato rispetto alla stesura degli obiettivi per il 2001, questi sono stati a oggi mantenuti immutati. E questo, da parte di una società con numeri positivi, può assumere il valore di una sfida sostenibile e non di una promessa a vuoto.

*Donatella Principe è responsabile della ricerca economica presso il centro studi del Gruppo Banca Popolare di Vicenza.