*Alfonso Tuor e’ il direttore del Corriere del Ticino, il piu’ importante quotidiano della Svizzera italiana.
(WSI) – La significativa ripresa del dollaro e un inizio dell’anno relativamente poco effervescente delle borse sembrano essere i fatti salienti dei primi giorni di questo 2005. Sullo sfondo vi è un diffuso ottimismo, cui contribuisce anche il rialzo del dollaro che allontana il rischio di una forte caduta del biglietto verde che avrebbe potuto avere conseguenze negative sulla crescita economica e su borse e mercati obbligazionari.
Questo ottimismo si fonda sulla convinzione che l’economia mondiale dopo una breve fase di rallentamento nel corso di questo primo semestre riprenderà a crescere rapidamente nella seconda metà dell’anno. In questo contesto anche i violenti alti e bassi del prezzo del petrolio, il cui prezzo comunque resta ampiamente sopra i 40 dollari il barile, non sembrano destare soverchie preoccupazioni. È quindi legittimo domandarsi se sia tutto oro quello che luccica.
Cominciamo con il dollaro. La ripresa del biglietto verde sembra in primo luogo determinata dal fatto che il differenziale dei tassi a breve tra le due sponde dell’Atlantico gioca oggi a favore del biglietto verde e soprattutto dal fatto che questo differenziale tenderà ad allargarsi ulteriormente a causa dei previsti aumenti dei tassi americani da parte della Federal Reserve. A favore del dollaro gioca pure l’impegno dell’amministrazione di ridurre il disavanzo federale statunitense. Tutto ciò non può comunque far dimenticare che la flessione del dollaro è in primo luogo determinata dalla necessità di finanziare un disavanzo commerciale che in novembre ha superato i 60 miliardi di dollari.
Anche se i dati di novembre attestano un rinnovato interesse degli stranieri ad investire in attività denominate in dollari, resta il fatto che il fabbisogno americano di capitali continua a venire assicurato dalle banche centrali asiatiche, che in novembre hanno acquistato obbligazioni statunitensi per circa 28 miliardi di dollari. Non è quindi escluso che stiamo assistendo ad un rimbalzo del dollaro, che si potrebbe protrarre anche per alcune settimane. Sembra però prematuro azzardare l’ipotesi che sia finita la fase di debolezza del dollaro e che stiamo assistendo ad un’inversione di tendenza.
Per quanto riguarda la crescita economica appare chiaro che stiamo assistendo ad un rallentamento del ritmo di espansione, mentre appaiono meno evidenti i motivi che dovrebbero favorirne un’accelerazione nel secondo semestre di quest’anno. L’economia europea continua ad espandersi a tassi modesti, quella giapponese appare di nuovo ferma, quella cinese dovrebbe rallentare, mentre quella americana dovrebbe, da un canto, non più beneficiare delle politiche monetarie e fiscali fortemente espansive degli ultimi anni e, dall’altro, cominciare a risentire gli effetti della tendenza all’aumento del costo del denaro.
Questo sembra il parere anche delle borse che tutti prevedevano dovessero iniziare l’anno nel segno del rialzo grazie anche all’abituale afflusso (in questa parte dell’anno) di fondi freschi soprattutto delle casse pensioni. A livello di indici questa previsione si è, almeno finora, rivelata infondata, mentre si sta assistendo a un rinnovato interesse per i titoli dei settori difensivi a scapito di quelli tecnologici e di quelli legati al ciclo economico (anche perché in questi settori alcune società hanno presentato risultati deludenti).
Sta di fatto che, proseguendo il trend già manifestatosi l’anno scorso, la volatilità sia degli indici azionari sia dei corsi delle obbligazioni è a livelli storicamente minimi e che il mercato dei capitali sta premiando anche le obbligazioni di società e di paesi emergenti ad alto rischio. Tutto ciò induce a ritenere che siamo in una fase di grande fiducia che potrebbe concludersi con un brusco e spiacevole risveglio. Infatti i problemi economici non sono stati risolti, ma unicamente rimossi.
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