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AL GRANDE CONTESTATORE DI GEORGE BUSH IL PREMIO NOBEL IN ECONOMIA

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(WSI) – Il premio Nobel per l’Economia è stato assegnato quest’anno allo statunitense Paul Krugman, storico oppositore della politica economica ed estera di Bush e noto come economista neo-keynesiano, teorico cioè dell’intervento dello Stato per regolare il mercato. Il riconoscimento, ha reso noto l’Accademia Reale Svedese delle scienze, è stato attribuito all’economista per i suoi lavori sugli scambi commerciali internazionali. ”Credo molto nel proseguimento del mio lavoro. Spero che questo non cambi troppo le cose”, è stato il commento a caldo di Krugman all’assegnazione del prestigioso premio, istituito nel 1969.

Nato nel 1953 a Long Island, Krugman è professore all’università di Princeton (ma per molti anni ha insegnato al Mit) ed editorialista del New York Times. Krugman è anche uno dei pochi studiosi che aveva osservato con largo anticipo i rischi che hanno poi generato la crisi finanziaria. Profetico il suo libro scritto nel 2001 “Il ritorno dell’economia della depressione. Stiamo andando verso un nuovo ’29?’. Nel 1991 ha ottenuto il prestigioso riconoscimento John Bates Clark Medal dall’Associazione americana per l’economia. E’ diventato molto popolare, molto conosciuto al grande pubblico, soprattutto per i suoi attacchi a Bush, in particolare in occasione del taglio delle tasse (inutilmente gravoso per il bilancio pubblico, a detta di Krugman) e della guerra in Iraq.

Ma non bisogna confondere l’assegnazione del Nobel con una ‘discesa in campo’ contro il presidente americano e a favore di un intervento statale nell’economia da parte dell’Accademia delle scienze svedese, afferma Francesco Daveri, professore ordinario di Politica Economica presso la Facoltà di Economia dell’Università di Parma e redattore del sito economico Lavoce.info.

“Non credo che l’Accademia delle Scienze faccia scelte di campo, – osserva Daveri – semplicemente ha dato il premio Nobel a chi ha cambiato il modo in cui gli economisti pensavano alla globalizzazione. Dopo le sue pubblicazioni, lo studio dell’economia internazionale non è stato più lo stesso. Nel momento in cui lui ha iniziato a studiarla, molti avevano sfiducia nella globalizzazione e nelle sue conseguenze. Lui non l’ha certo presa come oro colato, i suoi studi dimostrano anche che il mondo globale è molto più soggetto alle crisi. Ma è riuscito a valutarlo in tutta la sua complessità.

Scoprendo, per esempio, che non valeva più la teoria dei rendimenti costanti di scala, in base alla quale che un’azienda fosse piccola o grande non faceva differenza ai fini della competizione. Invece quelle che riescono a esportare meglio delle altre, e quindi a competere, sono proprio le grandi aziende che diventano multinazionali. Una considerazione che sembra banale, però prima di lui per qualche strana ragione gli economisti non ci avevano pensato, e se ci avevano pensato non avevano superato le difficoltà di ordine tecnico che impedivano di sviluppare dei modelli”.

Teorico della globalizzazione, e del commercio internazionale, ma non paladino delle barriere doganali, a differenza di quanto qualcuno per un certo tempo ha interpretato. “Le sue teorie economiche erano state interpretate erroneamente come un modo per fornire un supporto a politiche protezioniste, – ricorda Daveri – si diceva che se quello che conta è avere aziende grandi, allora occorre proteggerle finché non sono grandi, è la teoria dell’infant industry. Però lui ha anche spiegato che si trattava di una vecchia tesi degli anni ’50, non più valida. Un’efficienza protetta produrrà Alitalia, non certo Wal-Mart o Nokia”.

Altra scoperta fondamentale della teoria economica di Krugman è quella relativa alla concorrenza nei mercati globali: “Prima dei suoi studi – spiega Daveri – l’ipotesi era che tutti i mercati fossero in concorrenza perfetta. Krugman ha dimostrato che molto spesso sono invece oligopoli, ognuno vende un prodotto un po’ differente dagli altri e questo lo rende oligopolista, anche perché i consumatori si affezionano ad alcuni beni, che comprano più volentieri. E allora come fanno le imprese a commerciare? Questa teoria dimostra che pertanto esistono buone ragioni per specializzarsi e per commerciare con molti Paesi, e per avere economie aperte, non difese dai dazi. I gusti delle persone sono variegati, ecco perché conviene il commercio internazionale”. Però sicuramente c’è un collegamento tra le sue teorie e la crisi internazionale che in questo momento stanno attraversando i mercati. Krugman ha studiato come possano insorgere molto rapidamente e in modo improvviso crisi là dove per molto tempo non è emerso niente, come situazioni che sembravano tollerabili possano diventare drammatiche. In questi casi, le sue ‘ricette’ sono però molto ortodosse. In questi giorni ha mostrato di apprezzare gli interventi dei governi europei, meno quello di Paulson. In generale, Krugman ha una buona fiducia nell’intervento statale di carattere temporaneo”.

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