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(WSI) –
L´ombra sua torna (ch´era dipartita). Dice quindi il verde Bonelli: «Peggio della P2». Alessandra Mussolini: «Altro che P2». Marco Rizzo, comunista italiano: «Una nuova P2». Giuseppe Giulietti, ds: «Mi ricorda sempre più la P2». L´ex ministro Maroni: «Pensavo proprio alla P2». L´attuale ministro Pecoraro Scanio: «Basta con le vecchie e nuove P2».
Un impiccio, uno spauracchio, un incubo, uno scherzo, una roba seria. Riveduta e corretta. Uno scandalo postumo e retrospettivo. Un´entità demoniaca e polivalente, minacciosa e al tempo stesso buona per tutte le occasioni. Un animalone mitologico da discount: idra, chimera, ircocervo, araba fenice. Vai a sapere, dopo commissioni di saggi, processi, indagini parlamentari, pronunciamenti massonici, assoluzioni; vai a sapere dopo montagne di libri, film, poesie e persino canzoni («Maudit», dei Litfiba) cosa diavolo è stata la P2.
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Rieccola, comunque, la super loggia di Licio Gelli. Così, a 25 anni di distanza dal suo scoperchiamento si viene a sapere che questo Emanuele Cipriani, raccoglitore di dossier e fondatore di un´agenzia investigativa dal fantastico nome «Polis d´Istinto», era domiciliato a Montecarlo presso la moglie del figlio del Venerabile. Ed è una coincidenza che un po´ fa riflettere. Come se il salto generazionale e l´adeguamento interparentale, da Licio a Raffaello via nuora (a nome Marta), fossero indizio, segno e condanna d´inesorabile e patologica continuità.
Come passa il tempo. Ma anche come si ripete! «Nuova P2» suona infatti come una magica e serializzatissima evocazione nel discorso pubblico. Basta digitarla in qualche banca dati per venire sommersi di mal ricordi: Irpiania-gate, picconate di Cossiga (che qualificò gli adepti alla loggia «galantuomini»), Mani Pulite, bombe varie, referendum elettorali, processo Andreotti (sempre sospettato di essere «il vero capo della P2», prima presa di potere di Berlusconi, che una volta fece giulivamente notare l´impossibilità di poter essere rimasto, lui grande costruttore, al grado di «apprendista muratore».
Poi l´inchiesta Phoney Money, l´indagine sul giro Necci, la Bicamerale dalemiana (in particolare la bozza sulla giustizia), la faccenda Mitrokhin (il controspionaggio non escluse che Gelli fosse stato «agente doppio»), la seconda presa di potere del Cavaliere, che nel 2000 tentò una cauta riabilitazione: «Essere piduisti – disse – non è un demerito». Fino ai magheggi dei furbetti del quartierino (fu Di Pietro stavolta a richiamare l´evergreen) e alla polizia parallela antislamica di quel baffuto personaggio, Saya, che come prova della sua appartenenza a Gladio ritenne di mostrare un tatuaggio sotto l´ascella ai giudici di Palermo. E insomma: si chiudono gli occhi e tra ricordi di Tina Anselmi e piani di «Rinascita democratica» ti passa davanti un quarto di secolo.
In tutto questo tempo, c´è da dire, i politici sono stati sospettamente prodighi di allarmi. Alla fine degli anni ottanta il sottosegretario demitiano Sanza denunciò manovre della «destra piduista» – con il che lasciando immaginare che esistesse una sinistra. Poco dopo una inchiesta del Tg1 su Cia e P2 suscitò l´ira di Cossiga e costò la poltrona al direttore Nuccio Fava. Nel 1992 l´allora ministro dell´Interno Mancino annunciò che la loggia non solo era rinata, ma tramava con la mafia. «Ci minaccia ancora» dichiarò anche Spadolini (cui pure va il merito dello scioglimento). E quando Martelli, che pure aveva avuto qualche fastidio dal conto Protezione trovato proprio fra le carte di Gelli si ritrovò nelle peste, beh, pure lui disse che l´attacco gli proveniva dalla P2.
Non per essere sbrigativi, o superficiali. Arcana imperii, poteri occulti e una certa dose di segretezza predatoria animano certamente, e non da ieri, le dinamiche della vita pubblica. Con il che, almeno in teoria, lo spionaggio Telecom degli odierni Cipriani può identificarsi come l´erede tecnologico del sistema di ricatti cartacei messi in piedi dal centro di potere di Gelli. Ma quando Bossi, per dire, quando cioè un ministro del governo Berlusconi – per giunta! – attribuisce il mancato ottenimento della devolution alla classicissima nuova P2, definita «un coacervo economico e politico trasversale che mira a pasticci e imbrogli a nostro danno», ecco che il senso dell´allarme va a farsi benedire nel mare magnum della genericità propagandistica.
Perché la P2 è esistita. Ma rischia di sopravvivere in un´altra forma e con altri effetti, al tempo stesso definitivi e contraddittori. La sostanziale ambiguità della vicenda gelliana e del suo esito giudiziario; la mancanza e forse anche la rinuncia, sia pure per sfinimento, di un giudizio storico univoco; la fine della guerra fredda e delle condizioni geopolitiche che le hanno fatto da cornice; la stessa pacifica constatazione che la Repubblica, bene o male, è stata governata non una, ma due volte da un presidente del Consiglio il cui nome, come recita la formula, è stato trovato negli elenchi sequestrati a Castiglion Fibocchi, ecco: ancora oggi tutto questo non impedisce alla P2 di essere entrata a far parte dell´immaginario italiano come un archetipo. La quintessenza, il nocciolo duro, il cuore nero di un potere che a contatto con la sua ombra è capace di tutto. Anche di spaventare ancora; anche di ritornare quando non esiste più.
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