Chissà se Luigi Abete manderà ad Alessandro Profumo un biglietto di ringraziamento. Per ora si limita a ripetere ai giornalisti le stesse frasi che ha pronunciato diverse volte negli ultimi mesi: «La Bnl seguirà la strategia standing alone, continuerà a crescere da sola almeno a breve termine». Ma questa volta sono parole particolarmente dolci, particolarmente vere.
Fino a due mesi fa erano solo uno dei possibili futuri per la banca di via Veneto, e nemmeno il più accreditato. Ora, invece, si gode la vittoria: nel giro di tre giorni ha visto l’uscita dell’amministratore delegato Davide
Croff – un dualismo da sempre sofferto anche perché Croff era capo della banca da più tempo – e ha accolto nel cda Diego Della Valle, nuovo socio al 4,8% che si è rivelato decisivo – anche se non da solo – nel determinare i nuovi equilibri, e quindi la vittoria di chi non voleva accettare il matrimonio combinato con il Monte dei Paschi di Siena. Una fusione annunciata
e rimandata per anni nonostante più volte la stessa Banca d’Italia avesse apertamente fatto capire che la riteneva l’evoluzione più naturale nel processo di consolidamento delle banche italiane.
Abete ha sempre avversato questo progetto, anche quando il bilancio di Bnl – tra le più esposte in Argentina – non sembrava fornirgli molti margini di manovra. Invece ha trovato nel suo azionista di maggioranza relativa, i baschi del Banco di Bilbao (Bbva) l’alleato giusto. Un accordo che coniuga la voglia degli spagnoli di contare di più – hanno sempre mostrato insofferenza per l’impossibilità di ottenere
da via Nazionale l’autorizzazione ad aumentare la propria quota del 15%, per di più congelata in un patto di sindacato – con il progetto di Abete.
Niente più fusioni dunque, al massimo si parla di alleanze: «A medio termine tutto è possibile, ma in eventuali alleanze Bnl non dovrà essere preda», puntualizza Abete.
Peccato che nel mare della finanza non basta la volontà, contano molto di più le dimensioni. E qui entrano in gioco i ringraziamenti dovuti a Profumo e alla sua Unicredito, banca talmente in salute da essere una sorta di “cacciatore designato” del mercato italiano. Diverse erano le
considerazioni che rendevano Bnl un affare agli occhi di piazzale Cordusio: la disposizione territoriale compatibile con la rete di Unicredito e la quasi certezza che il governatore Antonio Fazio avrebbe benedetto un tentativo di acquisizione in funzione antibasca. Invece, il governatore non ha chiesto e Profumo non ha colto l’opportunità. Eppure il McKinsey boy non è certo arrivato dov’è, lasciandosi scappare i buoni affari: dopo la raffica di
acquisizioni nell’est europeo (Polonia, Romania, Bulgaria, Turchia, Slovacchia, Croazia e Repubblica Ceca) c’è chi ci si aspetta un ritorno sul mercato domestico, magari per creare quel “campione nazionale” di dimensioni paragonabili ai big francesi e tedeschi.
D’altronde anche Unicredito si trova di fronte ad un bivio: si è completato il lavoro che ha rivoluzionato una banca parastatale (Credito Italiano) e alcune tra le più importanti banche
regionali (Casse di risparmio di Verona, Torino, la CassaMarca di Treviso e il Credito Romagnolo) trasformandole in un’unica rete con i centri decisionali sparsi tra Milano, Bologna e Verona. Ma deve decidere cosa fare ora che è
grande.
Anche nella presentazione il piano industriale di venerdì scorso c’era chi notava quanto fosse pericoloso limitare gli obiettivi di crescita fino al 2006 alla semplice ricerca della massima redditività (da 17% al 21% la crescita prevista del roe) dalla struttura attuale. «E’ come avere una macchina di Formula 1 e presentarla anno dopo anno con solo lievi modifiche. La prima
stagione domini, ma poi gli altri ti raggiungono e ti superano se non rivoluzioni il progetto», sintetizzava un analista.
Seguendo questo ragionamento Profumo potrebbe arrivare fino a Roma, e scoprire di aver lasciato Bnl ora per trovare Capitalia tra un anno. L’ispezione della Banca d’Italia sull’istituto di Cesare Geronzi è terminata. Da ora la banca potrà essere oggetto di fusioni e acquisizioni. Inoltre questi mesi serviranno a capire come procede il tentativo di risanamento ad opera del direttore generale di Capitalia, Fabio Arpe. Quando lo stato di salute di Capitalia sarà più chiaro i rapporti tra le due banche, che già ora sono ottimi, potrebbero diventare ancora più stretti. Con il governatore Fazio ad assistere benevolmente alla nascita del gigante bancario tutto italiano in mano ai due banchieri che più stima e più gli sono vicini. E magari vedere finalmente i suoi colleghi europei lambiccarsi il cervello per rintuzzare i tentativi d’incursione italiani. Un’operazione a cui lui è costretto da dieci anni.
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