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Abbattimento debito di 400 miliardi non è fattibile

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ROMA (WSI) – Nei giorni scorsi si è letto a proposito di uno studio, svolto da parte dell’esecutivo, finalizzato all’abbattimento del debito pubblico di circa 400 miliardi di euro. Un intervento shock tale da ridurre l’indebitamento a circa 1600 miliardi di euro, ossia poco più del 100% (110% ?) del PIL.

Dei 400 miliardi di debito da tagliare, 100 deriverebbero dalla vendita di beni pubblici per 15-20 miliardi l’anno (in sostanza il programma Grilli); 40-50 miliardi dalla costituzione e cessione di società per le concessioni demaniali; 25-35 miliardi dalla tassazione ordinaria delle attività finanziarie detenute in Svizzera (5-7 miliardi l’anno); i restanti 215-235 miliardi dall’operazione shock, appunto.

Verrebbe individuata una porzione di beni patrimoniali e diritti dello Stato, a livello centrale e periferico, disponibili e non strategici, e venduta a una società di diritto privato di nuova costituzione partecipata principalmente da banche, assicurazioni, fondazioni bancarie ed altri soggetti . La società emetterebbe obbligazioni a 15-20 anni garantite dai beni. Essendo emessi da un soggetto privato, tali titoli non entrerebbero nel computo del debito pubblico. Lo Stato incasserebbe il corrispettivo portandolo direttamente a riduzione del debito pubblico, con conseguente risparmio di interessi. Negli anni di vita del prestito obbligazionario la società procederebbe alla valorizzazione della redditività dei beni.

Alla scadenza dei singoli lotti del prestito obbligazionario, ovvero anche prima a scadenze predeterminate, il soggetto che avrebbe proceduto all’acquisto di opzioni (warrant) avrebbe diritto all’acquisto dei beni e diritti costituenti il lotto di riferimento ed il prezzo per tale acquisto sarebbe utilizzato per il rimborso delle obbligazioni. Alla fine dei 5 anni, secondo i piani del governo, il servizio sul debito si dimezzerebbe, scendendo a 35-40 miliardi l’anno.

Questo, in buona sostanza, è il piano allo studio del governo per l’abbattimento del debito pubblico, che, a dire il vero, sembra poco di più che un’operazione finanziaria per spolpare il patrimonio pubblico creato in oltre un secolo di storia, e offrirlo così a banche semifallite.

Peccato che i numeri fantasiosi del “progetto” si scontrino con la realtà.

Pochi giorni fa, Bankitalia ha diffuso i dati sul debito pubblico nel mese di maggio. Bankitalia certifica che, nel mese di maggio, appunto, il debito pubblico è salito all’astronomica cifra di 2075 miliardi di euro, con un incremento di oltre 33 miliardi rispetto al mese precedente. Se allungassimo l’orizzonte temporale, potremmo affermare che dall’inizio dell’anno il debito è cresciuto di oltre 86 miliardi. Mentre, dall’inizio del 2012, in appena 17 mesi, è cresciuto di quasi 170 miliardi. Ossia circa il 43% dei 400 miliardi ipotetici che il governo vorrebbe destinare all’abbattimento del debito, generati, per lo più, da dismissioni di beni pubblici, ossia dalla (s)vendita del patrimonio della collettività costruito in quasi 100 anni di storia industriale del paese.

Non occorre essere dei fenomeni in economia per poter affermare che, se questa operazione dovesse essere posta in essere, nel giro di qualche tempo (magari qualche anno) ci troveremmo comunque con un debito del tutto in sintonia con quello attuale, avendo peraltro dissipato una buona fetta di patrimonio pubblico, regalandolo alle banche che, magari, saranno abilissime nel costruirci qualche obbligazione strutturata da rifilare ad ignari risparmiatori che si troveranno -con i loro soldi- a dover finanziare il regalo fatto a banche fallite.

Questo è tanto più vero se si considera che l’idea sarebbe quella di favorire un abbattimento del debito pubblico attraverso dismissioni pubbliche, senza tuttavia aver rimosso i prodromi e le deficienze che lo determinano. E qui, ci potremmo davvero sbizzarrire nell’elencare gli infiniti livelli di parassitismo sociale e corporativismo che debbono la propria esistenza proprio al debito. Perché, dovrebbe esser chiaro che se tu non ti puoi permettere determinate spese, l’unica alternativa al taglio delle spese è quella di mantenere privilegi (che non ti puoi permettere) attraverso il debito.

E questo è ciò che è avvenuto in Italia. Il concetto, è ancor più chiaro se si considera che il debito pubblico, in realtà, non viene mai ripagato, ma semplicemente rinnovato. Ossia, alle rispettive scadenze, lo stato, anziché rimborsare il debito in scadenza – con dei soldi che comunque non ha-, altro non fa che farsi prestare nuove risorse per rimborsare i titoli in scadenza. E così via fino a quando qualcuno non decide di riavere indietro il proprio denaro, mettendo in ginocchio il Paese, o, peggio, imponendo governi disposti a varare misure idonee ad ossequiare gli interessi degli investitori.

Questo, in buona sostanza, è ciò che è avvenuto in Italia negli ultimi due anni, dove, Monti prima e poi Letta, sono stati messi al timone con l’intento dichiarato (da chi ne ha interesse) di salvare il paese.

Evidentemente questo costituisce una volgare menzogna. E che si tratti di menzogna ce lo confermano tutti i dati economici che ci rappresentano, più che un salvataggio, un vero e proprio bollettino di guerra, dove gli unici sconfitti sono gli italiani.

Ritornando al nostro discorso sul debito e su quanto sia insensato (almeno in questo contesto) procedere con un’operazione di riduzione dello stock attraverso dismissioni pubbliche, va detto che un’operazione di questo genere, a mio modesto parere, rischierebbe di non riuscire a bloccare l’ascesa del debito pubblico. Ciò, per il semplice motivo che in questa crisi, ormai, è andata persa una buona fetta del tessuto produttivo. E il percorso di distruzione sembra ben lontano dall’arrestarsi.

Questo, prima di potersi ricostituire e tornare ad essere generatore di ricchezza, non richiede in via prioritaria l’abbattimento del debito pubblico, ma le riforme strutturali di cui l’Italia ha bisogno per fa si che il debito pubblico non venga alimentato in maniera inerziale come sta avvenendo ora, divenendo nuovamente insostenibile. Tra queste, prime fra tutte, quella del fisco, della pubblica amministrazione e della giustizia. Senza dimenticare poi, la necessità di ammodernare lo stato in ogni suo settore e procedere con una fase di deburocratizzazione di procedimenti amministrativi tale da creare le condizioni per una fase di sviluppo che, altrimenti, rimarrebbe custodita solo nel libro dei sogni per molti anni ancora. Insomma, tutte le riforme che non sono state fatte negli ultimi 20 anni.

Con la classe politica che ci ritroviamo, chetali riforme possano essere fatte nel giro di pochissimo tempo (stiamo parlando di mesi, non di anni) rischia di essere solo una pallida speranza che puo’ albergare solo nelle menti ingenue. E’ evidente che, permanendo simili condizioni (e non si ha ragione per ritenere che qualcosa possa cambiare), nella migliore delle ipotesi, nei prossimi anni, l’Italia sarà destinata a cresce in maniera del tutto marginale e comunque non in sintonia con le proprie necessità. Questo farà si che, per lunghi anni, vedremo alternarsi fasi di stagnazione(o bassissima crescita) con periodi recessivi. Un percorso distruttivo che tenderà a distruggere la ricchezza degli italiani, precludendo il benessere alle generazioni presenti e future, condannando ampi strati della popolazione a livelli di indigenza e povertà diffusa.

Allo scopo di comprendere quanto sia pericolo il tragitto che sta percorrendo l’Italia, peraltro anche speditamente, vi propongo di seguito un ottimo articolo pubblicato dalla Mazziero Research che ci illumina, oltre che sulla tendenza del debito, anche sulle possibili conseguenze.

Debito pubblico: verso l’aumento maggiore di tutti i tempi

Il dato sul debito pubblico di maggio pubblicato dalla Banca d’Italia è un dato che non ci può lasciare indifferenti per una serie di motivi:

Rappresenta il record storico del debito pubblico a 2.074,7 miliardi di euro. Corrisponde a un incremento di 33,4 miliardi nel solo mese di maggio. Proietta l’aumento del debito nei soli primi 5 mesi del 2013 a 86 miliardi; nell’intero 2012 era aumentato di 81 miliardi.

Ma la cosa inedita e che dovrebbe far tremare le gambe a ogni individuo dotato di capacità di intendere e di volere è che il ritmo con cui cresce il debito aumenta sempre di più.

È plausibile che quest’anno vengano bruciati 100 miliardi di debito. Un altro record superato nel 1993 e 1994, quando si arrivò in entrambi gli anni a 110 miliardi; nel 2009 ci si fermò invece a 97 miliardi.

È davvero possibile un tale scenario? Siamo forse già arrivati al punto di non ritorno?

I numeri fin qui esaminati sono piuttosto evidenti e non vi sono apprezzabili segni di inversione di rotta; se si osservano le variazioni del debito mensili si potrà constatare che i mesi in cui il debito aumenta (segmenti rossi) sono maggiori del numero dei mesi in cui questo diminuisce (vedi grafico).

Inoltre quando il debito diminuisce la lunghezza del segmento, eccetto in un caso, è molto inferiore all’ampiezza del segmento rosso; ciò significa che un mese di virtuosismo viene subito vanificato nel mese successivo.

Cosa significa tutto questo?

Che l’accumulo di debito è cronico e non vi è possibilità di cambi di rotta se non con shock di natura strutturale.

Gli shock strutturali potrebbero essere di due tipi:

Un default parziale sui titoli di Stato.

Una misura che colpisca il patrimonio, principalmente abitativo e/o un prestito/prelievo forzoso sui capitali, nella forma più fantasiosa che il legislatore sarà in grado di escogitare.

Non si tratterebbero di pochi denari, ma di una somma capace di riportare il debito/Pil tra il 100 e il 110%; una lunga strada dato che siamo diretti oltre il 132%.

La tentazione di raccogliere una cinquantina di miliardi, cosa assai difficile di questi tempi, probabilmente questa volta non sortirebbe effetto; in quanto avrebbe il solo scopo di rimandare di un anno una manovra ancor più dolorosa e che potrebbe aggirarsi intorno ai 200-300 miliardi.

Una Via Crucis capace di togliere il sonno a ogni carica elettiva. Quindi nel frattempo l’unica cosa che resta da fare, elezioni tedesche permettendo, è calciare la lattina sul marciapiede, sperando di riuscire a farla andare più in là, almeno finché si può evitare di restare con il cerino in mano.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Vincitori e Vinti – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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