Romano Prodi è inadatto alla leadership. Fu messo lì nel ’96 da un comitato di saggi, vinse le elezioni per sfinimento dell’avversario ribaltato, governò due anni e mezzo, gestì bene i suoi dossier, gli fu dato il benservito sicario da Massimo D’Alema, andò in Europa dove s’impastoiò ben bene nei patti stupidi e fu messo in ginocchio da Giulio Tremonti, coltivò il mito dell’Ulivo originario: ora si candida e non si candida, tira fuori manifesti di una noia abissale, offre segni quotidiani di esitazione e di debolezza, fa impazzire il povero Piero Fassino che insegue le sue disponibilità e indisponibilità come una trottola, non ha una vera base politica ed elettorale, propone una lista unica e va a finire che ce ne saranno quattro o cinque.
I capi della sinistra non ci sono, quelli che aspirano al ruolo si fanno fischiare dai girotondi che blandiscono, non hanno accreditamento nei ceti moderati salvo manovre lobbistiche negli ampi spazi che lascia loro il governo, sono scollegati dal sindacato post cofferatiano, sbagliano tutto in politica estera, non sono in grado di trattare con il governo o di dividere la maggioranza, fanno una generica propaganda antiberlusconiana, non sanno nemmeno più che cosa sia l’iniziativa politica, stanno sulla scia della camarilla di Repubblica, passano da un’intervista all’altra e se ne contentano: così si resta nella burocrazia e nella gestione, non si diventa capi, non si acquisisce quella capacità di parlare al paese che sola legittima la leadership.
Qualche spunto in un’altra direzione lo offre Francesco Rutelli, che prende l’iniziativa di segnalare con un voto una posizione autonoma sulle questioni di coscienza legate alla fecondazione artificiale, e che sembrerebbe in gara con Enrico Letta nella corsa al voto che affonderà la lista unica: quello di gennaio sul rifinanziamento della missione italiana in Iraq.
Poi ci sono le due figure che più se ne stanno in disparte, più si rafforzano: Walter Veltroni e Sergio Cofferati. Sono un sindaco che gioca tutto sull’immagine e un candidato a sindaco che viene dalla Cgil e gioca tutto sui simboli. Il loro però è un percorso lento, le loro sono ambizioni costruite sul disimpegno dai temi cruciali della lotta politica, ed è veramente significativo che per essere credibili, per caricarsi qualche speranza pubblica e disegnarsi un orizzonte personale, nel centrosinistra ci si debba riparare fuori della realtà nazionale e attendere pazientemente una qualche ora fatale.
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