Società

8 settembre, 70 anni fa

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ROMA (WSI) – Erano le otto di sera dell’8 settembre 1943 quando fu dato l’annuncio dell’armistizio dell’Italia con le forze Alleate. L’Italia accese i fuochi, suonò le campane, cantò e ballò persino nelle aie, per strada e nelle piazze in preda a un’euforia che durò poco. In realtà l’8 settembre fu uno dei giorni più enigmatici e tragici della storia politica, sociale e militare d’Italia. E fu anche il giorno delle scelte, delle attese e di una memoria (non sempre condivisa) che protagonisti, più o meno noti, hanno riversato nella scrittura e nella testimonianza, raccontando, in un modo o nell’altro, quello strano giorno in cui la guerra che doveva o sembrava finire, non finì.

A 70 anni da quel giorno ancora se ne discute e escono alcuni libri per ricostruire e fare il punto. Si va, per citare solo i titoli usciti di recente, da ”Otto settembre” dello storico Paolo Sorcinelli (Bruno Mondadori, pp. 230 – 18,00 euro) a ”La tragedia necessaria. Da Caporetto all’otto settembre” di Mario Isnenghi (Il Mulino, pp. 146 – 10,00 euro), da ”1943” di Marco Gasparini e Claudio Razeto (Castelvecchi, pp. 284 – 16,50 euro) alla ripubblicazione del classico ”I nemici di Mussolini” di Charles F. Delzell (Castelvecchi, pp 672 – 29,00 euro). E a questi viene da aggiungere naturalmente l’antologia di ”Storie della Resistenza” a cura di Domenico Gallo e Italo Poma, appena edito da Sellerio (pp. 420 – 15,00 euro) e il bel libro di Vittorio Cimiotta che, per temi e figure, ripercorre la storia ”da Giustizia e Libertà al Partito d’Azione”, sottolineandone la forza esemplare, oggi più che mai, di ”Rivoluzione etica”, come dice il titolo (Mursia, pp. 374 – 20,00).

Per una sintesi dei principali fatti della Seconda Guerra Mondiale, leggere la voce:
Treccani: la Seconda Guerra Mondiale

Così come ‘La seconda guerra mondiale. Una breve storia’ (pp. 222 – 14,00) dello storico britannico Norman Stone appena pubblicata da Feltrinelli nella collana Storie. Fin dall’inizio l’Italia unita procede per fratture, da Porta Pia a Caporetto e lo stesso accadde con l’8 settembre 1943, cui il libro di Isnenghi si dedica estensivamente interrogando anche la memorialistica dell’epoca, illuminano lo scollamento tra le differenti anime del paese e testimoniano quel disincanto di massa e quella perdurante estraneità di larghi settori della società che sono all’origine dei malesseri identitari che continuano ad affliggere il nostro paese.

Nelle caserme gli ufficiali parlarono alla truppa, le compagnie si sciolsero e, come scrisse Meneghello, le strade si affollarono di “due file praticamente continue di gente, di qua andavano in su, di là in giù, pareva che tutta la gioventù italiana di sesso maschile si fosse messa in strada, una specie di grande pellegrinaggio di giovanotti”.

Tutti a casa, come diceva il titolo di un celebre film di Luigi Comencini? Non proprio: sarebbe stato troppo bello, visto che la realtà si rivelò presto dura e nefasta, chiamando ognuno a scegliere se camminare verso Nord, dove si sarebbe presto costituita la Repubblica di Salò o andare verso Sud, dove erano gli alleati, come ricostruisce e spiega Sorcinelli. Da una parte chi grida al tradimento e resta fedele ai propri giuramenti e alle proprie idee e, dall’altra, chi sale in montagna per resistere e cercare di liberarsi di quella che diventa subito un’occupazione nazista.

Alla ”Storia della Resistenza armata al regime fascista” è dedicato il bel libro del 1960 dell’americano Delzell, scomparso nel 2011 e che resta un punto di partenza centrale per lo studio della lotta di liberazione, ricostruendo l’opposizione a Mussolini dalla dissidenza cattolica degli inizi e dal delitto Matteotti in avanti, lungo il ventennio e sino all’8 settembre e la lotta armata. Certo che il 1943 resta uno degli anni più aspri e emblematici della storia italiana recente, col crollo del fascismo, mesi di fuga e disonore, ma anche di orgoglio e riscatto, fine e inizio.

Li ricostruiscono due giornalisti, Gasparini e Razeto, utilizzando tutti i documenti possibili, gli articoli di giornale italiani e stranieri, rapporti ufficiali, materiali storici del nostro esercito e dei comandi alleati, discorsi, lettere, diari ( da Bottai a De Bono e Ciano), ricordando che fu l’anno anche del 25 luglio, dello sbarco in Sicilia, come della ritirata di Russia e delle ultime battaglie in nord Africa. Ed è comunque da quelle radici, nel bene e nel male, che germoglia l’Italia come l’abbiamo oggi. (ANSA)

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articolo di Mirella Serri

[ARTICLEIMAGE] Il generale Ike, ovvero Dwight David Eisenhower, che dal 1953 risiederà alla Casa Bianca, uscendo dalla tenda piantata tra mandorli e ulivi, a Fairfield Camp, nella località di Cassibile non lontana da Siracusa, strappò un rametto e lo sventolò sotto il naso dell’operatore che riprendeva la scena. Quello fu il solo segnale di distensione e di pace nell’incontro risolutivo, almeno per il momento, dello “sporco affare”.

Così Ike aveva definito in privato le giravolte e i contorcimenti di parte italiana che portarono, il pomeriggio del 3 settembre, nell’accampamento americano, al cosiddetto armistizio corto. La firma dell’armistizio fu accolta con enorme sollievo dagli alleati che fino alla fine avevano temuto un ripensamento degli italiani: il testo sanciva la cessazione immediata “di ogni attività ostile” da parte del Regno d’Italia nei confronti delle forze alleate (rimandando a più tardi la stesura definitiva dell'”armistizio lungo”, siglato a Malta il 29 settembre, che fissava le durissime condizioni della resa italiana).

A quello storico incontro erano stati delegati da Ike il generale britannico Harold R. Alexander, al comando di tutte le forze alleate presenti in Italia, il suo capo di stato maggiore, Walter Bedell Smith, e il responsabile del servizio informazioni inglese, il gigantesco Kenneth Strong. In doppiopetto scuro, scriminatura centrale nei capelli impomatati, un candido fazzoletto al taschino, l’azzimato emissario del governo Badoglio, il 50 enne Giuseppe Castellano, sudava copiosamente quando siglò il documento in 12 punti.

Era uno dei generali più giovani e l’avventura che lo aveva portato sotto la tenda di Fairfield Camp era iniziata ad agosto. Vittorio Ambrosio, capo di stato maggiore dell’esercito, gli aveva affidato un delicatissimo incarico. Pietro Badoglio, fin da quando era subentrato al governo al posto di Mussolini, era ben consapevole che bisognava avviare un negoziato con gli angloamericani.

Il generale Castellano, in un clima denso di sospetti e di incertezze, partì il 12 agosto per Lisbona, avendo come bagaglio il suggerimento di traccheggiare, esporre la nostra situazione militare, ascoltare le intenzioni degli angloamericani e “soprattutto far capire che noi non possiamo liberarci della Germania senza il loro aiuto”. Castellano e i suoi mandanti però si illudevano.

Pensavano di essere accolti quasi come nuovi alleati e di poter ottenere persino consistenti sbarchi (15 divisioni) tra Civitavecchia e la Spezia. All’incontro con gli interlocutori, Castellano capì che le previsioni erano state esageratamente rosee: Bedell Smith, freddo e scostante, gli lesse gli articoli dello “short military armistice”. Il governo italiano fu posto di fronte all’accettazione di un armistizio militare, i cui termini potevano essere modificati “nella misura in cui gli italiani avessero dimostrato sul campo una reale capacità di lottare contro la Germania”.

Stipulato in gran segretezza, il patto sarebbe entrato in vigore dal momento del suo annuncio pubblico. Ma dopo la firma di Cassibile prendeva avvio una commedia degli equivoci in un pazzesco tourbillon di inganni, segreti e bugie. “Badoglio tardò a prendere contatto con i governi angloamericani per paura dei nazisti i quali, a loro volta, erano convinti che le trattative fossero già in corso e cercavano le prove del tradimento italiano.

E’ probabile che il re e Badoglio abbiano continuato fino all’8 settembre a tenere aperte due alternative”, afferma Elena Aga Rossi che, con il suo “Una nazione allo sbando. L’armistizio italiano del settembre 1943 e le sue conseguenze” (Il Mulino) ha portato nuove acquisizioni a questo decisivo spartiacque.

“C’era la possibilità dell’armistizio con gli angloamericani, nel caso lo sbarco alleato fosse così massiccio da costringere i tedeschi a ritirarsi, e quella di una sconfessione dell’armistizio e di una continuazione della cooperazione con Hitler. L’8 settembre è stato a lungo dimenticato dagli storici. Soprattutto perché si voleva rimuovere la memoria del criminale sodalizio con il Reich: con l’armistizio finalmente l’Italia si dissociava dal progetto tedesco, che aveva pienamente condiviso, del dominio in Europa e dell’instaurazione di un Ordine nuovo fondato sulla razza”.

Il 3 pomeriggio Badoglio mentì a Raffaele De Courten, responsabile della Marina, ad Antonio Sorice, ministro della Guerra e a Renato Sandalli dell’Aereonautica, dicendo che erano in corso trattative e non che il patto era già stato firmato. Il generale Alexander era convinto che gli italiani, secondo gli accordi presi, si stessero organizzando per opporsi ai nazisti – con attacchi alle formazioni, con il controllo delle strade intorno a Roma, con la sorveglianza dei porti di La Spezia, Taranto, Brindisi.

Hitler, da parte sua, sospettava oscure trame ed era sul punto di formalizzare in un ultimatum pressanti richieste, come la libertà di movimento delle truppe tedesche in ogni parte del territorio italiano, il controllo delle installazioni della marina militare, la modifica della catena di comando in proprio favore.

Eisenhower, il 7 settembre, per verificare in che modo gli italiani stessero preparando i proprio schieramenti per supportare l’arrivo di paracadutisti americani, spedì a Roma una missione formata dal generale di brigata Maxwell D. Taylor e da un colonnello. I due emissari non trovarono nessuno ad accoglierli: Giacomo Carboni, responsabile del Sim, Servizio informazioni militari, era irrintracciabile; Ambrosio, era a Torino; Badoglio era sotto le coltri fin dalle nove, Mario Roatta, capo di stato maggiore dell’esercito, cenava in famiglia.

Carboni, finalmente raggiunto, buttò giù dal letto Badoglio che si spese con i due militari perché intercedessero presso Ike al fine di rinviare l’annuncio dell’armistizio. Eisenhower, avvisato che nulla procedeva secondo i programmi, fece annullare il volo dei paracadutisti che già stavano decollando dalla Sicilia. Decise di rendere noto il trattato di Cassibile e alle 18 e 30 dell’ 8 settembre venne emanato il comunicato.

Con una dichiarazione dell’agenzia Reuter e con un radiomessaggio di Eisenhower, la notizia dell’uscita dell’Italia dalla guerra divenne pubblica. Alle 19.45, dai microfoni dell’ Eiar, come ricordò lo speaker, Giovanni Battista Arista, fu interrotta la canzone “Una strada nel bosco”. Dopo una breve introduzione, il capo del governo annunciò la fine dei combattimenti contro gli alleati e proseguì: “l’esercito italiano reagirà contro gli attacchi di qualsiasi altra provenienza”.

Il giornalista Ruggero Zangrandi, in un suo pamphlet ferocemente critico nei confronti del Maresciallo, scriverà che il discorso lo pronunciò “quasi in italiano”. Il 13 ottobre l’Italia dichiarava guerra alla Germania e il 14, con una bella dose di improntitudine, Badoglio, dalla Puglia, dove era fuggito con gli esponenti della Casa Reale, in una lettera a Eisenhower, “senza alcuna esaltazione”, sottolineava gli effetti positivi in campo militare e politico del suo governo.

Ma non tutti saranno d’accordo su questo giudizio autocelebrativo sul Regno del Sud, che avrà sede prima a Brindisi e poi a Salerno. “L’ambiente si era nuovamente avvelenato, e l’odore di cadavere che ammorbò l’Italia per tanti anni saliva da tutta la vecchia classe dirigente morta e non rimossa”, scriveva Corrado Alvaro ne “L’Italia rinunzia? 1944: il Meridione e il Paese di fronte alla grande catastrofe” (ora ripubblicato da Donzelli).

Infatti i “cambi della guardia, dal fascismo al post regime, non erano sufficienti se a muovere le leve del comando non arrivavano uomini nuovi”, ha osservato Paolo Mieli sul “Corriere della Sera” (16 ottobre 2012), “non solo per avere idee e programmi inediti ma anche per azzerare odi pregressi, vecchie rivalità, sedimentati pregiudizi, cosa che avverrà solo e solo in parte nel dopoguerra”.

Nel teatrino delle incomprensioni e delle promesse tradite, però, fin dalla sera dell’8 settembre, la Wehrmacht e le Ss presenti in tutta la penisola avevano fatto scattare i piani segretissimi predisposti da Hitler già da tempo e avevano occupato tutti i centri nevralgici in Italia settentrionale e centrale, fino a Roma incluse ampie zone del Mezzogiorno.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Sette-Corriere della Sera – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.>

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