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2010, fuga da Wall Street

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(WSI) – È stato una colonna portante dell´economia più ricca del mondo. Quel modello sta finendo, il divorzio tra le famiglie americane e le azioni è iniziato, la crisi sembra irreversibile. “I risparmiatori fuggono dalla Borsa”, è l´allarme lanciato dal New York Times. I dati sono eloquenti: negli ultimi sette mesi gli americani hanno ritirato 33 miliardi di dollari dai fondi comuni azionari specializzati sul mercato domestico, popolari strumenti per investire a Wall Street.

E´ la più colossale fuga dalla Borsa degli ultimi decenni, eguagliata solo nel 2008 che però fu un anno di crac finanziario e recessione. Stavolta invece ciò che rende la fuga significativa è che essa ha coinciso con un periodo – da gennaio a luglio di quest´anno – in cui la recessione è ufficialmente finita, e la Borsa ha anche avuto fasi di ripresa. Di qui l´impressione che l´addio alla Borsa non è un fenomeno passeggero bensì l´inversione di un ciclo storico, che aveva portato alla diffusione dell´azionariato come principale sbocco dei risparmi.

Le pensioni americane, per esempio, da molte generazioni sono alimentate attraverso i fondi investiti in azioni. Oltre il 50% della popolazione americana ne possiede. In altre recessioni, appena il Pil ricominciava a crescere scattava anche il ritorno del piccolo risparmiatore a Wall Street. Per esempio dopo lo scoppio della bolla della New Economy (marzo 2000) le famiglie tornarono rapidamente a investire in Borsa. Quest´anno a marzo e aprile l´indice Dow Jones è salito dell´8%, eppure nel mese successivo, a maggio, i risparmiatori hanno ritirato 19 miliardi dai fondi azionari.

Per spiegare un fenomeno di queste dimensioni non basta neppure il fattore demografico. E´ vero, una parte della fuga da Wall Street è legata al fatto che le generazioni più numerose – i baby-boomers nati tra il 1945 e il 1965 – cominciano ad affacciarsi all´età della pensione, quindi diventano più caute e preferiscono i Bot alle azioni. Però i dati dell´Investment Company Institute rivelano che la disaffezione dal Wall Street è ancora più pronunciata fra chi ha meno di 35 anni, la fascia generazionale che ha voltato le spalle alla Borsa con più decisione. Solo dopo il crac del 1929 e la Grande Depressione, l´allontanamento dalla Borsa fu così massiccio e prolungato. D´altronde, come negli anni Trenta, anche oggi il piccolo azionista è segnato da un trauma: nell´arco di un decennio il suo capitale investito in Borsa gli ha dato molte più perdite che guadagni.

La fuga dalle azioni coincide con una fase in cui il risparmio non è diminuito, al contrario. Dall´ultima recessione gli americani hanno “messo la testa a posto”, riducono i consumi, non usano più la carta di credito con la spensieratezza del passato. Dove mettono i loro risparmi? Di preferenza in obbligazioni, con in testa quelle che appaiono più sicure: i Treasury Bond, titoli del debito pubblico. Nello stesso periodo gennaio-luglio in cui hanno smobilizzato i portafogli azionari, gli americani hanno investito 185 miliardi di dollari in fondi comuni obbligazionari. Questa corsa verso i Bot ha contribuito a farne crollare il rendimento: oggi il T-Bond trentennale rende appena il 3,6%, quello decennale è sceso al 2,6% e il biennale non arriva neppure allo 0,5%. E´ una legge matematica: più la domanda aumenta, più sale il valore dei Bot, proporzionalmente si abbassa il rendimento.

Tassi d´interesse così bassi sono un sintomo classico di deflazione. Se gli investitori accettano di piazzare i propri fondi in titoli che rendono pochissimo, è perché non si aspettano un ritorno dell´inflazione (altrimenti l´aumento dei prezzi si “mangerebbe” il capitale). Al contrario, il mercato vede un´economia depressa, stagnante, un´inflazione piatta o addirittura un calo dei prezzi, su un orizzonte prolungato. Questo spiega che i rendimenti dei Bot possano scendere così in basso, e tuttavia i risparmiatori continuano a comprarli.

Ma i Treasury Bond che rendono il 2,6% a dieci anni sono a loro volta un fattore di impoverimento. I pensionati, e chiunque viva di queste cedole sui 14.000 miliardi di dollari di titoli pubblici in circolazione, deve accontentarsi di un reddito modesto. Rispetto ai tassi in vigore in tempi normali, si stima che questi rendimenti sottraggono alle famiglie americane 350 miliardi di dollari all´anno: il 2% del Prodotto interno lordo degli Stati Uniti.

E´ un ammanco serio. E´ anche una sorta di tassa occulta che trasferisce reddito dai risparmiatori alle banche. I banchieri lucrano sulla forbice tra i rendimenti che pagano ai depositanti, e gli interessi che incassano sui fidi. Per le famiglie è un meccanismo infernale. Proprio come accade nelle deflazioni, che riducono i redditi e aumentano il valore reale dei debiti, oggi gli americani per quanto stringano la cinghia fanno fatica a diminuire il proprio indebitamento. Il debito totale dei consumatori (tra carte di credito e finanziamenti rateali) è a quota 11.700 miliardi, in calo del 6,5% dai suoi massimi storici. Ma l´11% di questo debito è “insolvente”, cioè fa capo a famiglie in stato di bancarotta o vicine a precipitarci.

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