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Wealth management alla sfida delle tecnologie emergenti

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di Sandra Riccio

Intelligenza artificiale, chatbot e robot stanno cambiando anche le gestioni dei grandi patrimoni. Per le banche è una nuova opportunità per attirare le nuove generazioni. Ma saranno anche un motore per la competitività

Le tecnologie emergenti partono alla conquista del wealth management. Aumenta il numero di società di gestione che guarda alle opportunità offerte della nuova era digitale.
Con l’Intelligenza artificiale (Ia) ma anche attraverso l’utilizzo dei moderni robot, di chatbot e dell’apprendimento automatico (machine learning), le operazioni sui patrimoni dei clienti diventano più efficienti. Non solo. Dalle analisi risulta anche che la clientela è più soddisfatta.

I nuovi processi basano la propria forza sul fatto che le “macchine” riescono ad analizzare e valutare masse di dati e grafici in brevissimo tempo.
È un vantaggio che ha aperto la strada a nuove applicazioni e a nuove opportunità in diversi ambiti e discipline. A riconoscere questa occasione, seppur in ritardo, è anche il mondo del wealth management che con le tecnologie emergenti riesce a ottenere performance migliori e ad allargare il proprio ambito di attività a nuove fasce di età.
La digitalizzazione dei servizi di gestione del patrimonio ha un maggiore appeal per i millennials, i nati tra gli anni ’80 e 2000, che presto diventeranno protagonisti di questo particolare segmento dell’industria degli investimenti.

Non è solo una questione di opportunità. L’Intelligenza artificiale sta trasformando il mondo del wealth management sia da un punto di vista delle relazioni con la clientela, sia per quanto riguarda i processi. Questo nonostante il mondo wealth e net worth individuals (Hnwi) sia molto complesso e presenti strutture dei patrimoni che sono molto articolate.
Avere uno sguardo d’insieme su tutto il patrimonio non è facile così come non è semplice amministrare capitale, partecipazioni, immobili, con un unico strumento. In questo senso, l’Intelligenza artificiale, e tutte le sue derivazioni, possono venire in aiuto al manager. Per fare qualche esempio, l’automazione permette di migliorare i processi di onboarding e molti aspetti del servizio alla clientela, come l’invio di report e statistiche tagliati su misura.
Per quanto riguarda il back-front, le nuove tecnologie e l’utilizzo, per esempio, dell’apprendimento automatico e dell’applicazione di programmi di interfaccia adatti a svolgere funzioni di gestione, possono dare una mano ai money manager nella gestione del portafoglio nonché nell’applicazione di nuove normative.
Il tutto rende il servizio di wealth management più efficiente, sia in termini di tempi necessari a portare a termine tutte le operazioni, sia per quanto riguarda i costi complessivi.
Secondo le analisi di Deloitte, l’utilizzo delle chatbot porterà, entro il 2020, a un risparmio di costi tra 0,50 e 0,70 dollari per ogni interazione banca-cliente. E l’interesse della clientela è in crescita. Secondo i dati rilevati da eMarketer, nel 2017 negli Stati Uniti quasi 36 milioni di clienti hanno utilizzato un assistente vocale almeno una volta al mese. Si tratta di un incremento lampo di oltre il 130% sull’anno prima.

Più competitività tra le banche.“La rivoluzione è solo all’inizio. Per l’industria del wealth managment i cambiamenti in corso rappresentano sicuramente una sfida da cogliere – dice Paolo Gianturco, senior partner di Deloitte, responsabile Fintech -. Tuttavia, nonostante tutti i progressi nelle tecnologie, pensiamo che la componente umana resterà comunque dominante anche in futuro”.

Per l’esperto, i passi avanti che l’Intelligenza artificiale permette di fare, rimangono di grande aiuto. Il gestore sarà però sempre colui che crea le strategie, quello che le realizza nella pratica e quello che fa da supervisore finale dei processi.

La “macchina” sarà di appoggio per la grande velocità con cui riesce a mettere insieme e ad analizzare i dati, per la capacità di riconoscere connessioni complesse tra diversi ambiti e materie e, infine, anche per l’indipendenza da influssi emotivi (i così detti “behavioral bias”).

Per il mondo italiano degli investimenti e del wealth management queste innovazioni rappresentano una sfida importante – dice Gianturco -. Anche in prospettiva di una maggiore competitività sul piano internazionale della piazza finanziaria italiana a livello internazionale”.

Quello verso la digitalizzazione non è tuttavia un percorso semplice. Deloitte rileva che ci sono alcune sfide che i wealth manager devono affrontare quando implementano questi nuovi strumenti nelle proprie attività. Devono, per esempio, riuscire a infondere fiducia nelle tecnologie emergenti nei clienti più diffidenti. C’è poi la difficoltà nel riuscire a trovare talenti da inserire in questo nuovo ambito che è giovane ma cresce molto in fretta.
L’articolo completo è stato pubblicato sul numero di giugno del mensile Wall Street Italia