Mercati

Borse e Bond pagano il prezzo dell’esperimento pericoloso delle banche centrali

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È la paura di una reflazione e di un rialzo dei tassi negli Stati Uniti ad avere dato la stura alle vendite nelle Borse durante la settimana del flash crash. Alcuni gestori e analisti di mercato parlano di ripiegamento “fisiologico” e quasi salutare, ma i numeri dicono che le ventate di volatilità sui mercati hanno mandato in fumo 5.200 miliardi di dollari nell’azionario globale. Il Vix, “l’indice della paura“, come viene comunemente chiamato, ha guadagnato il 27,66% a 35,40 punti ieri, prima di contrarsi oggi di un -30% circa ai minimi di sei mesi. Il contratto con scadenza marzo sul petrolio scambiato sul Nymex è scivolato dell’1% a 61,15 dollari al barile, minimi del 2 gennaio scorso, dopo aver brevemente toccato punte al ribasso di anche più del -2%, ma Goldman Sachs rimane ottimista sulle prospettive a lungo termine delle materie prime, dell’oro in primis.

I mercati temono anche l’avvio di una fase ribassista sull’obbligazionario, con i rendimenti dei paesi virtuosi che tendono ora al rialzo. I Treasuries Usa a 10 anni rendono il 2,84%, mentre i tassi sui Bund decennali lo 0,74%. Come detto, sui mercati azionari pesano soprattutto i timori legati al rialzo dei tassi, attese che accentuano la volatilità dei listini. Negli Stati Uniti William C. Dudley, presidente della Federal Reserve di New York, ha confermato che la previsione di tre rialzi dei tassi in Usa nel 2018 resta una “stima ragionevole”. E ha aggiunto che i mercati si stanno adeguando a un miglioramento dell’outlook globale e che il recente sell-off subito dall’azionario “non è fonte di preoccupazione per le banche centrali”.

Tutti questi effetti cui assistiamo sui mercati, però, sono proprio la conseguenza delle politiche insolite delle banche centrali. La Fed, con il suo esperimento pericoloso, rischia però di aver fatto e fare ancora danni. Se la banca centrale americana non avesse iniettato nel sistema più di due mila miliardi di dollari da fine 2014 a oggi, il debito federale avrebbe superato la soglia dei 17 mila miliardi, i tassi di interesse sarebbero saliti e il deficit di bilancio sarebbe aumentato, costringendo le autorità politiche a tagliare le spese di governo. Invece è successo il contrario e nonostante l’incremento dei debiti il costo del denaro è sceso. Gli effetti distorti delle politiche ultra accomodanti sono sotto gli occhi di tutti: alimentare un’inflazione dei prezzi delle Borse e di diverse asset class, incoraggiando al contempo le aziende a spendere anche quando non possono permetterselo.

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