Economia

Unicredit osservata speciale, orfana di AD e bacchettata da Morgan Stanley

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ROMA (WSI) – Unicredit rimane osservata speciale. Il titolo della banca rimasta orfana dell’amministratore delegato – sono passati giorni da quando l’addio dell’ormai ex CEO Federico Ghizzoni è stato ufficializzato – è ora in ripresa, dopo aver testato un nuovo minimo a 2,50 euro.

La Consob ha reso noto intanto che il fondo americano Blackrock è salito al 5,119% di Unicredit, diventando il secondo maggiore azionista dopo il fondo Aabar (fondo sovrano degli Emirati Arabi Uniti) che ha in mano il 6,501%.

Trepidazione per le notizie che arriveranno dal consiglio di amministrazione che si riunisce nella giornata di oggi. Tuttavia, non sono previste novità di rilievo sull’identità del successore di Ghizzoni.

Nelle ultime ore, gli investitori si sono focalizzati sul report scritto dagli analisti di Morgan Stanley Research, che affronta il tema del rischio di un aumento di capitale da parte delle banca italiana.

Secondo Morgan Stanley, Unicredit potrebbe riuscire a evitare un processo di ricapitalizzazione, cedendo alcuni suoi asset, finalizzando la joint-venture tra Pioneer e Santander Asset Management e uscendo dalla lista delle banche a rilevanza sistemica, come G-SIB. Proprio alcune indiscrezioni di stampa hanno rivelato di recente che Unicredit starebbe riconsiderando la sua partecipazione in FinecoBank e le quote in Polonia e in Turchia. Ma non c’è stata alcuna conferma dall’istituto di credito sui diversi rumor che girano nelle sale operative.

Le quotazioni di Unicredit sono scese ieri di oltre -4,5%, scontando gli onnipresenti timori su un’operazione di aumento di capitale che potrebbe essere necessaria prima del previsto.

Nel report con data all’8 giugno, Morgan Stanley ha anche rivisto al ribasso il rating sul titolo da overweight a equal-weight e il target price da 5,25 a 3,80 euro.

Tra i problemi che stanno zavorrando la redditività di Unicredit, oltre all’incertezza su chi sarà il prossimo al timone della banca, c’è anche paradossalmente – ma neanche tanto – il fondo Atlante, creato con un accordo con il governo al fine di gestire il problema dei crediti deteriorati delle banche.

Tra l’altro, all’attacco di Unicredit qualche giorno fa è andato proprio Alessandro Penati, presidente del fondo Atlante che, parlando in occasione del Festival dell’Economia di Trento, ha si è così espresso:

“È la più grossa banca, è l’unica sistemica italiana. È sotto gli occhi di tutti che siamo intervenuti anche perché 1,5 miliardi metteva in crisi la più grossa banca italiana. Avete mai visto una banca che manda a casa un amministratore delegato e che poi non trova nessun altro? Per me sono da prendere gli azionisti e da licenziare gli azionisti“.

Tutto questo mentre ieri, nel corso di una intervista rilascia a Formiche.net, il professore Giovanni Ferri, ordinario di scienze economiche all’Università Lumsa di Roma, ha paragonato il fondo Atlante all’Iri, affermando tuttavia che il paragone non necessariamente ha un’accezione negativa. Tutt’altro.

“Atlante? Un ritorno agli anni Trenta”, ha detto, e alla domanda se si possa parlare di un “ritorno al passato potenzialmente virtuoso”, ha risposto: “Sì, se il fondo Atlante avrà poi la potenza di fuoco sufficiente alla portata degli interventi a cui sarà chiamato”.

Sul perchè del paragone, spiega.

“Negli anni ’30 in Italia ci fu una crisi per molti aspetti simile a quella attuale. Le similitudini sono relative al crollo del pil e dell’attività economica, ma ci sono anche delle differenze. In ogni caso, anche negli anni ’30 le banche si trovarono con gli attivi immobilizzati perché erano zeppe di sofferenze. L’Iri fu creato proprio per smobilizzare questi attivi”.