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TUTTA LA VERITA’ SUL FASSINO FURIOSO

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*Vicedirettore Finanza&Mercati. Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Caro direttore e cari lettori, il governo del fischio è entrato nella fase dei pugnali sul tavolo. Il premier Prodi reagisce in maniera sprezzante ai primi avvisi di cambiali in scadenza fattigli recapitare dai leader dei maggiori partiti dell’Unione, di fronte al tracollo verticale testimoniato in ogni sondaggio oltre che nei fischi riservati a ogni uscita pubblica di Prodi.

I pugnali restano al momento solo appena sfoderati, in maniera che mandino qualche lampo minaccioso, perché Prodi capisca che il suo margine di autonomia – finora pressoché totale – deve fare i conti sul serio con chi nel centrosinistra avverte ormai di rischiare una frattura permanente tra le proprie bandiere di partito e la stragrande maggioranza del Paese.

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Bisognerà aspettare ancora, prima che i coltelli comincino a volare, e magari frange di Ds e Margherita pensino che sia venuto il momento di rischiare qualche incidente parlamentare, tanto per far capire al premier che i loro richiami a cambiar sistema sono fondati e lui non può limitarsi ad alzare le spalle e a tirare avanti come se niente fosse.

Di sicuro non avverrà sul voto di fiducia, perché significherebbe dover tornare al voto e persino per Casini a quel punto la prospettiva sarebbe da evitare a qualunque costo. Ma la politica ha le sue regole spietate: Prodi potrà anche far finta di niente, ma quando in un sistema di coalizioni disomogenee e rissose come quello italiano i capi dei due maggiori partiti di maggioranza iniziano a manifestare al presidente del Consiglio che non ne vogliono più sapere di condividere i suoi errori, e che dunque o li corregge oppure poi non si dovrà lamentare del fatto che i partiti correranno al riparo, ecco che si mette in moto un processo pressoché inarrestabile. Tanto più inarrestabile se il premier i questione non è espresso da un partito e anzi non ne ha neppure uno, mentre chi guida grandi partiti deve puntare inevitabilmente a orizzonti più lunghi di quello del governo in carica.

La strategia televisiva e l’uomo dello schermo

Non siamo affatto dei gufi, che si divertano ad augurare lunga e travagliata agonia al governo Prodi. Perché è anche il male del Paese e della sua economia. Ma è un fatto che quanto avvenuto ieri ha puntualmente confermato quanto avevamo scritto subito, appene lette le parole pronunciate da Fassino al suo Consiglio nazionale.

Al segretario Ds che ha chiesto un cambio di passo al governo, a Rutelli che da tempo chiede una vera e propria “fase due”, ieri Prodi ha risposto senza dar mostra di alcuna correzione al suo metodo sin qui invalso. Regola numero uno: evitare una qualunque arena televisiva con interlocutori a più voci e un contraddittorio rischioso. Regola numero due: scegliere un’emittente che nella gara degli ascolti non può che ringraziare il premier per essere prescelta, e a quel punto non ostacolare con domande troppo impertinenti le sue esternazioni già confezionate.

Ieri è avvenuto dalle telecamere di SkyTg24, e lo diciamo non certo per mancare di rispetto ai colleghi che vi lavorano, ma solo per sottolineare che è un metodo studiato a tavolino da Prodi e dai suoi consiglieri: con la scusa di evitare in salotti televisivi, si evita soprattutto ogni confronto diretto. Così, Prodi ha potuto scandire con voce sibilante che di fase due non si deve neanche parlare. Che al massimo se bisogna cambiare passo allora bisognerà mettersi a correre, ma intanto a scaldare le gambe del governo ci ha pensato lui.

Che a governare facendo caso al disastro dei sondaggi lui non pensa nemmeno, perché governare non significa accontentare tutti. Che lui non vuole neppure sentir sussurrare di critiche a Padoa-Schioppa, che è un “grande ministro e punto”. Ora, un minimo di contraddittorio avrebbe potuto far notare che se governare non significa affatto accontentare tutti, di certo in democrazia scontentare il 60% degli elettori significa di sicuro non godere del consenso necessario, infliggere colpi considerati ingiusti e ingiustificati dai più, e infine la certezza di andare a casa.

Ma è appunto questa la differenza di fondo tra Prodi da una parte, e Ds e Margherita dall’altra: questi ultimi dovranno cercare di non tornarci, all’opposizione, a differenza di Prodi che a fine governo e senza partito non potrà che staccare la spina.

Ancora: se qualche interlocutore puntuto avesse potuto fare qualche domanda secca a Prodi, avrebbe potuto chiedergli ieri se per caso un giudizio tanto favorevole su Padoa-Schioppa – il ministro meno amato dagli italiani in assoluto attualmente, con la fiducia di meno di un terzo dell’elettorato – non dipenda forse troppo scopertamente dal fatto che l’ex banchiere centrale ha finito per rappresentare un paravento ideale al potere diretto prodiano, invece della sicura barriera a ogni inframmettenza che una grande personalità sicura di sé avrebbe opposto a partiti e premier troppo invadenti.

Noi lo scriviamo con la morte nel cuore, perché di Padoa-Schioppa a Bankitalia e alla Bce abbiamo avuto una grande stima: ma fateci caso, con lui a via XX settembre il Dipartimento del Tesoro ha finito di rappresentare quel filtro tecnico alle pretese politiche e partitiche sulle partecipate pubbliche, come si vede dal fatto che sul caso Telecom è da palazzo Chigi che venne il dossier delle mille polemiche a Telecom, e com’è confermato nella vicenda Alitalia, in cui è direttamente Prodi tramite i fidi Tononi e De Giovanni a gestire direttamente il dossier.

Si tratti del nuovo vertice dell’Anas anti Benetton in Autostrade, o del ribaltone realizzato in Rai col nuovo direttore generale, sono tutti uomini direttamente prodiani ed ex Iri, le pedine attraverso le quali il premier – memore del disarcionamento del 1998 e dunque diffidando di Ds e Margherita – regola direttamente le partite di potere, senza far vedere palla ai partiti della sua maggioranza e mettendoli di fronte al fatto compiuto.

Se il ministro dell’Economia fosse stato espressione di un partito della maggioranza, Prodi avrebbe avuto la vita assai più difficile. Al contrario, Padoa-Schioppa per Prodi è il miglior ministro possibile, perché nessun altro avrebbe potuto essere miglior “uomo dello schermo” di lui. In ogni caso, i pugnali del dissenso nel fodero non torneranno.

Ieri stesso, ospite a Porta a Porta, Rutelli ha deciso di rispondere con altrettanta durezza sprezzante al “me ne frego” di Prodi. Non la vuoi chiamare “fase due”? E chiamiamola pure Topolino, ha detto Rutelli secco secco e con le labbra strette: l’essenziale è che Prodi capisca che non è riuscito a spiegare al Paese la sua finanziaria e dunque sarà bene che ci si metta di buzzo buono, e che immediatamente si volga a una politica di riforme strutturali come quella previdenziale, e a un approccio meno ostile al mercato di quello sin qui visto su Telecom, Autostrade e Alitalia, aprendo a liberalizzazioni e concorrenza. Altrimenti, farà la fine di Paperino, sfigato e scornato nella sconfitta: questo Rutelli non l’ha detto, ma è implicito nelle strisce di Walt Disney.

Tanto per essere ancora più chiari, nelle stesse ore un uomo della sinistra industriale che non ha molta stima per Prodi mentre ne ha molta di Rutelli, Carlo de Benedetti, mazzolava la finta gara indetta dal premier su Alitalia a colpi di maglio.

Rifondazione e Verdi l’ultima guardia di Romano

Inutile dire che in capo a poche ore la guardia di ferro prodiana – quella vera, non gli emaciati ex funzionari delle Partecipazioni Statali annidati a palazzo Chigi – ha subito risposto per le rime a Rutelli. Esponenti di Rifondazione come il capogruppo al senato Russo Spena o dei Verdi come Bonelli hanno immediatamente replicato a Rutelli che di fase due mercatista non se ne parla nemmeno. Ed è questa, infatti, la guardia scelta prodiana che sinora è stata assolutamente prevalente nei provvedimenti del governo e nella stangata fiscale. Esattamente come sabina Guzzanti ieri da Santoro accusava Prodi di non aver cambiato nulla, rispetto al marcio del centrodestra.

Com’è ovvio, Margherita e Ds non continueranno a farsi dettare la linea dalla sinistra antagonista in eterno, per la bella faccia di Prodi e per continuare a perdere punti nei sondaggi a vantaggio dell’Italia dei valori di Di Pietro.

Tanto per cominciare, per primo Mastella ieri ha già cominciato a salutare Prodi, ricordandogli che le alleanze non sono eterne, ma lui tra sinistra antagonista e neoDc con Casini – un domani non troppo lontano – non ha certo dubbi su che cosa scegliere.

Lo scontro interno all’Unione è destinato a crescere. Quando una vecchia volpe come Giulio Andreotti, ieri al Senato, dice di preferire un esercizio provvisorio di tre mesi piuttosto che votare al buio una finanziaria in 1.365 emendamenti scritta dal governo espropriando il Parlamento, è come se inviasse un ultimo telegramma di saggezza a Prodi. Ripensaci, finché sei in tempo. Altrimenti sul tuo governo del fischio verrà presto il fischio della fine, diventerà presto un ricordo del passato, più che una promessa di futuro, caro premier “io me ne frego”.

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