Economia

Trump un’incognita, fine Occidente come lo conosciamo?

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NEW YORK (WSI) – Il gestore obbligazionario di Janus Capital Bill Gross ritiene che la vittoria di Donald Trump non farà bene all’economia americana, al contrario di quanto incominciano a credere in molti a Wall Street. L’idea di stimolare l’attività economica con l’inflazione e l’espansione fiscale è un’illusione. Nel dichiarare vittoria ieri, con toni sorprendentemente pacati, Trump ha promesso che la crescita dell’economia raddoppierà grazie al suo New Deal.

Le dichiarazioni ottimiste hanno calmierato le tensioni sui mercati. Nonostante le spese in infrastrutture e i tagli alle tassi, tuttavia, la crescita del Pil non aumenterà secondo l’ex Ceo di Pimco, fondo di bond numero uno al mondo. Quello che otterrà con il boom espansionistico fiscale è un dollaro forte e un’inflazione in salita. Gross vede un Pil in crescita limitata all’1-2%, con fattori demografici e debito che metteranno un freno all’espansione delle attività.

Nel suo programma politico il neo presidente spiega che spenderà 500 miliardi di dollari nelle infrastrutture, per costruire case, ponti e aeroporti. È una somma pari al doppio di quella promessa da Hillary Clinton e, unita alle politiche di taglio alle tasse e stimolo fiscale, non farà che gonfiare ulteriormente i livelli di debito pubblico già elevati in America, secondo Gross.

L’opinione contrasta con quella di altri analisti come BlackRock e Allianz SE, convinti che l’elezione di Trump crei per gli Stati Uniti l’opportunità di creare un consenso politico verso misure orientate alla crescita, che alimentino le attività della prima potenza al mondo. Guadando al programma di Trump emergono una serie di punti controversi.

Trump presidente: cosa cambierà veramente

Se Trump mantiene le promesse fatte in campagna elettorale, il programma di assistenza sanitaria Obamacare sarà abolito o sostituito con un altro piano. Verrà avviata una rivoluzione fiscale, la maggiore dai tempi di Ronald Reagan. Nessuna società americana pagherà più del 15% di tasse sugli utili prodotti. Oggi come oggi in Usa la quota massima è fissata al 35%.

E ciò solo per quanto riguarda le politiche economiche interne. La maggiore incognita riguarda la politica e il commercio esteri. Trump ha minacciato di alzare le tariffe sui beni provenienti dalla Cina al 45%, si oppone al TPP e sul NAFTA ha chiesto di rinegoziare i trattati commerciali con Messico e Canada. La Cina è stata attaccata anche sull’ambiente. Trump ha detto che il riscaldamento globale è una bufala inventata dalla Cina e ha promesso che abolirà gli accordi di Parigi sul clima (COP21). Gli Usa non verseranno più un soldo per i programmi a tutela dell’ambiente.

Oltre ai rischi di una guerra commerciale con i paesi vicini e la seconda economia al mondo, ci sono anche quelli di un inasprirsi delle tensioni internazionali sul piano diplomatico. L’accordo di Obama con l’Iran, che punta tra le altre cose a evitare che le armi nucleari finiscano nelle mani nell’ISIS, nei piani di Trump verrà fatto saltare o almeno verrà rivisto. Ai musulmani non residenti verrà vietato l’accesso negli Stati Uniti e 11mila migranti non autorizzati verranno deportati.

Non è affatto detto che tutto questo venga messo in atto. Il mercato e i partner di Washington di questo sono consapevoli.  Tra quello che si dice in campagna elettorale per raccogliere voti e quello che si mette in pratica sul serio c’è sempre una bella differenza. Figuriamoci quando di mezzo c’è una persona dal temperamento e dal carattere molto particolari come Trump, il quale oltre a commettere una montagna di gaffe, è famoso per la tendenza a raccontare frottole.

Trump: la fine dell’Occidente come lo conosciamo?

In mezzo a tanta incertezza, una cosa è certa: se Donald Trump metterà veramente in pratica quello che dice, l’Occidente come lo conosciamo ora è condannato a morte. Il sistema internazionale e l’ordine del libero scambio in vigore dalla Seconda Guerra Mondiale e promossi dagli stessi Stati Uniti sarebbero smantellati in poco tempo. Barriere doganali e muri – reali o presunti – bloccherebbero il transito e la compravendita di beni e servizi nel mondo. Gli Stati Uniti sono anche soggetti al rischio di scoppio di rivolte sociali.

Dal punto di vista geopolitico, le cose si metterebbero altrettanto male. Tutto dipenderà dalla volontà di Trump di dichiarare come preannunciato una guerra commerciale con la Cina. Scatenerebbe così un effetto domino potenzialmente devastante. L’equilibrio delle forze in Asia ne uscirebbe stravolto: i paesi più deboli del Pacifico non avranno altra scelta: dopo che un’America isolata taglierà i ponti con questi Stati, che finiranno nell’orbita di una Cina e delle sue grandi mire espansioniste. In uno scenario del genere, il Giappone rischia di trovarsi isolato in Oriente.

Senza contare che con un Trump critico della NATO e amichevole nei confronti della Russia, Vladimir Putin avrà le mani libere nei Paesi del Baltico e in Ucraina, mentre in Siria potrebbe essere presto trovato un accordo impensabile fino a qualche settimana fa.

La grande incognita resta però il fatto che tutto questo potrebbe non verificarsi mai. Il problema con Trump è l’incertezza e imprevedibilità: nessuno ha potuto vedere il ricco tycoon newyorchese in azione come governatore o politico: è il primo incarico nella funzione pubblica in assoluto per il leader Repubblicano. Questo porta a pensare che si circonderà di tecnici e politici con esperienza. Resta ancora da vedere se sarà effettivamente ben consigliato e da chi. I prossimi due mesi prima dell’insediamento di gennaio aiuteranno a chiarire le idee su questo aspetto.

In tutti i casi gli Stati Uniti rimangono una democrazia, pur con i suoi difetti. Il Congresso probabilmente bloccherebbe alcune delle proposte più folli di Trump. Anche se a maggioranza Repubblicana, il Parlamento ospita numerosi esponenti moderati (sia Democratici sia Repubblicani) e non permetterebbe il concretizzarsi di politiche protezioniste troppo agguerrite, il divieto di ingresso a qualcuno a causa della religione che professa, o la creazione di un muro al confine con il Messico.