Società

Titoli di stato in caduta libera, cosa consigliano i “poteri forti”

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Pubblichiamo un vademecum cosiddetto “anti-crisi” del Corriere della Sera (Banca Intesa, di cui era Ceo il ministro Passera, e’ tra i maggiori azionisti del quotidiano) su come orientarsi tra tassi in rialzo di Bot, Cct, Ctz e l’enorme volatilita’ dei prezzi. Insomma, ecco cosa consiglia l’establishment bancario/mediatico (tutto pro Btp Day). L’articolo va quindi letto a vostro rischio e pericolo, se non proprio con approccio contrarian.

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

MILANO – Non sfondate quella curva. E soprattutto: non inclinatela a testa in giù. Quella linea che rappresenta i rendimenti dei nostri titoli di Stato e che il 5 luglio del 2011 era fisiologicamente protesa verso l’alto (vedi grafico ) con i Bot che rendevano poco più dell’1,5% e i Btp a trent’anni che offrivano meno del 6%, oggi è drammaticamente piatta a un livello stellare che oscilla intorno al 7-8% per tutti i titoli. Ma c’è di più: in qualche punto si vede un pericoloso (lieve) cedimento.

Sofismi da analisti grafici? Proprio no. E cercheremo di spiegare perché.

Ieri i titoli italiani hanno bruciato nuovi e poco invidiabili record. Ma questa volta l’allarme rosso si è acceso con insistenza sui Btp corti e sui Bot, cioè sui titoli che hanno una vita residua molto breve, da zero a due anni. La maratona dei rendimenti, che nel momento peggiore, poco prima di mezzogiorno, hanno superato l’8% per i titoli a cedola fissa biennali, è stata innescata da motivazioni di vario genere. Oltre alla giornaliera dose di pessimismo generata dalla sensazione che l’uscita dal tunnel sia lontana nonostante i vertici internazionali e gli sforzi dei singoli governi, ieri i mercati hanno avuto una bella piattaforma tecnica a cui ancorare le loro paure: le due aste del Tesoro italiano, quella per i Bot semestrali e quella per i Ctz. In Europa non c’erano altri appuntamenti e le ansie si sono concentrate lì.

Tutti i titoli in offerta sono stati collocati ma, ahimè, non è successo nessun miracolo. E quindi, come da prevedibile copione, il mercato sempre più incerto ha preteso un premio praticamente raddoppiato per comprare. I Bot sono arrivati al 6,504% dal 3,535% raggiunto in ottobre, mentre il Ctz – il titolo zero coupon – si è spinto al 7,814% rispetto al precedente 4,628%.

Un balzo che ha sconquassato l’intera curva dei rendimenti: nel mezzogiorno di fuoco dei biennali oltre l’8% – poi ritornati verso il 7,8% – investire in un titolo che scade nel novembre 2013 rendeva più che impegnarsi con un titolo decennale (che ieri ha toccato un massimo di 7,41%) o con un titolo a trent’anni che pagava ancora meno: il 7,26% ( vedi tabelle) .

Gli esperti chiamano questo fenomeno inversione della curva. Una patologia che sta ai mercati del reddito fisso come la febbre cattiva. Se la curva si inverte seriamente, cioè se il premio da pagare per i propri debiti a breve e medio termine risulta sensibilmente più elevato di quello da sborsare per i titoli di lunga durata, vuol dire che il virus della sfiducia è in azione. Nel caso della Grecia, per esempio, la curva è inclinata all’ingiù di oltre 45 gradi. I titoli annuali, paragonabili ai nostri Bot, pagano il 300%, quelli biennali più del 120% e quelli a dieci anni oscillano intorno al 28%. Numeri da game over che certificano per i mercati un’evidenza di non ritorno. E che, per ora, sono lontani anni luce dalla nostra curva. Pericolosamente alta, questo sì, ma piatta, con qualche piccola scoliosi all’altezza dei due e dei cinque anni.

Spiega Claudia Segre, segretario generale di Assiom Forex: «In una situazione normale indebitarsi a lungo comporta il fatto di prendersi un rischio maggiore di quello che si associa ad un investimento breve». Chi può sapere dove saranno i tassi fra trent’anni? E quindi i Btp lunghi e lunghissimi (ma anche i Bund , i Bonos o i Treasury bond americani) se tutto va bene rendono logicamente più delle emissioni con due o tre anni di vita. La febbre della curva invertita, però, è subdola. «Quando la sfiducia inizia a salire – spiega ancora Angelo Drusiani, esperto obbligazionario di Banca Albertini Syz – gli investitori si liberano anche dei titoli brevi, deprimendo i prezzi e spingendo in su i rendimenti, a volte più in alto di dove si trovano i rendimenti dei titoli lunghi». Perché? «Perché la loro vicinanza di rimborso diventa un’arma a doppio taglio», dice ancora Drusiani. Il Btp (o qualsiasi altro bond governativo e non) con un anno di vita residua, infatti, quota ormai vicino a 100. Tutte le obbligazioni, a fine corsa, restituiscono 100, cioè il capitale investito. Un titolo a pochi mesi dal traguardo è quindi una buona chance di stabilità e di protezione del capitale per chi ragiona nell’ottica del bicchiere mezzo pieno.

Per chi vede invece il bicchiere mezzo vuoto (e purtroppo in questo momento il mercato pullula di investitori malinconici) i titoli corti possono essere considerati una trappola da evitare per non perdere troppo in conto capitale, nel caso estremo di una ristrutturazione del debito. In caso di default, infatti, i titoli a lunghissima scadenza – che oggi in Italia quotano intorno a 80 – espongono gli investitori che li avessero comprati ai prezzi attuali a minori perdite, posto che il rimborso finale in caso di default avviene sempre a meno di 100. Cioè con una perdita imposta, più o meno ampia, in conto capitale.

Ma davvero ha senso applicare questo genere di paure al futuro dei Btp? Per il momento no, ma la febbre e i meccanismi perversi del virus non si possono negare. Tutto però è ancora in gioco. «Oggi, con la curva piatta, è come se il mercato fosse a un bivio, indeciso se prendere la strada disastrosa della Grecia, oppure quella della virtuosa Germania», dice Antonino De Gaetani, gestore obbligazionario di Bnp Paribas. A chi si domanda che cosa fare, tra le docce fredde quotidiane dei mercati e l’incredibile messe di previsioni catastrofiche che – se ce la faremo – sarà un grandissimo piacere smentire, non resta che applicare un po’ di sano realismo. Non si può avere un portafoglio imbottito di Btp, ma nemmeno pensare che andremo in default. Una sana diversificazione, che preveda anche i titoli di Stato italiani (ma non solo quelli) è forse la ricetta più equilibrata per affrontare le prossime incertezze. Dei titoli a breve abbiamo già detto. Per i titoli tra tre e sette anni, i Btp «intermedi», si possono vedere opportunità e rischi sia per i cassettisti che per chi ama fare trading. Chi acquista ai prezzi correnti riesce a portare a casa un rendimento di quattro punti percentuali superiore al tasso di inflazione senza doversi impegnare troppo a lungo. Ma si possono anche comprare in ottica positivamente speculativa, sperando di realizzare un guadagno in conto capitale nel caso di un miglioramento delle quotazioni. Un ragionamento analogo vale per i decennali, che sono anche i titoli comprati dalla Bce quando partono le missioni di salvataggio sui mercati che crollano. Quanto ai Cct nell’indifferenza generale sono saliti sopra il 10%. Non li guarda nessuno e, in caso di ritrovato equilibrio, offrirebbero straordinarie rimonte in conto capitale.

E se dopo il Btp Day potessimo organizzare, usciti dal tunnel, un «Btp Day Pride»?

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Mercati sotto stress. I titoli di Stato al test dei 5 miliardi

Domani arriva il Btp Day per sostenere l’asta del Tesoro. I gestori: “L’Ue intervenga con eurobond e fondo salva-Stati”.

di SANDRA RICCIO

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

TORINO – Rimane alta la tensione sul debito italiano. La settimana fitta di incontri del nuovo governo Monti non ha riportato ossigeno sul mercato. Anzi, venerdì i titoli italiani hanno toccato nuovi e poco rassicuranti record: i tassi d’interesse dei Bot a sei mesi sono quasi raddoppiati, rispetto a ottobre, fino al 6,5%, mentre i titoli a due anni sono volati oltre quota 8%.

Ma le preoccupazioni sono già rivolte alle prossime aste. Non tanto quella di fine novembre, con 5 miliardi di Btp in scadenza. L’allerta è soprattutto sulle scadenze in agenda l’anno prossimo con oltre 300 miliardi da rinnovare. E gli occhi sono già puntati sul banco di prova di febbraio, con 40 miliardi di Btp da piazzare. «Sarà questo il primo vero scoglio da superare», spiega Gianluca Verzelli, vicedirettore centrale di Banca Akros. «Ci saranno molti fattori che remeranno contro. Da una parte peserà la concorrenza della montagna di obbligazioni bancarie di istituti italiani ed esteri che proprio nello stesso periodo arriveranno sul mercato per essere rifinanziate. Dall’altra potrebbe essere che assisteremo a una capacità degli investitori deteriorata per effetto della crisi». Secondo il rapporto di stabilità della Banca d’Italia, reso noto questo mese, i principali 32 gruppi bancari hanno in scadenza l’anno prossimo bond per 88 miliardi di euro.

Intanto domani scatta il Btp-day, la prima delle due giornate decise dall’Abi per l’acquisto di titoli di Stato del debito italiano con la rinuncia da parte delle banche alle commissioni. Lunedì si potranno acquistare i titoli sul mercato secondario, mentre il 12 dicembre i titoli di nuova emissione, in particolare i Bot. «E’ un segnale importante ma non è la strada per risolvere i problemi di fondo», dice Verzelli. «Il mercato attende soluzioni globali che riguardano tutta l’area euro e l’asta dei Bund di giovedì scorso, che in parte è andata deserta, ne è una chiara dimostrazione». Anche perchè l’incendio si sta rapidamente allargando e questa settimana ha raggiunto anche un Paese che finora era rimasto a margine come il Belgio, mentre il Portogallo faceva sapere di aver bisogno di aiuti aggiuntivi dall’Europa e dall’Fmi.

«Il problema è di tutti. Per questo non so quanto contino, in questa fase, le decisioni italiane. Piuttosto pesano di più le indecisioni in Europa», dice Angelo Drusiani, esperto per il mercato obbligazionario di Banca Albertini Syz. «Temo che la prossima asta segnerà nuovi record. Certo è che la speculazione avrà gioco facile fino a quando non si vedranno misure concrete dal governo Monti. Ma quel che tutti davvero aspettano è quella rete di sicurezza globale che si creerà soltanto nel momento in cui il direttorio Ue consentirà alla Bce di stampare moneta, di rafforzare il fondo salva Stati e di dare il via libera agli eurobond».

In Europa si susseguono discussioni e incontri ma le posizioni rimangono ancora differenti e distanti ti. «Non vedo novità – dice Verzelli – Anche se qualcosa si sta muovendo. Come prima cosa, la percezione del problema in questi ultimi giorni è diventata globale». Significa che risolvere questa crisi è ormai nell’interesse di tutti, dagli Stati Uniti alla Cina fino al Giappone. «Poi si è finalmente arrivati a una maggiore chiarezza sugli strumenti da mettere in campo per salvare l’Europa. Il terreno su cui operare è stato individuato, ormai si parla di un intervento della Bce come prestatore di ultima istanza, di un allungamento della durata dei prestiti o di un rafforzamento del fondo salva Stati. Se poi il salto sarà fatto, dipenderà tutto dalla politica».

Tutto ruota intorno alla Bce. «Solo in apparenza tutto è fermo.La Banca europea non può intervenire al buio. Prima dovranno essere messe sul tavolo le misure del governo Monti e poi si potrà passare alla fase successiva con l’acquisto del debito degli Stati e gli eurobond», dice Giorgio Arfaras, Presidente di Scm Sim. Certo è che bisogna fare in fretta. «La svolta deve arrivare entro la prima parte di gennaio», spiega Arfaras. Vale a dire prima che arrivi sul mercato anche la gran quantità dei titoli delle banche da rifinanziare.

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