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Telecom Italia, le chiavi al francese de Puyfontaine

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Da venerdì 5 maggio il presidente di Telecom Italia sarà ufficialmente l’attuale Ceo della francese Vivendi, Arnaud de Puyfontaine. Un fatto apparentemente normale per una società privata sin dal 1998, ma che solleva comunque una serie di dubbi. A sottolinearli è il direttore di Business Insider, Giovanni Pons, in un editoriale che pone l’accendo sulle questioni aperte da questa transizione. Vivendi, nel capitale di Telecom, è arrivata alla soglia del 23%.

La privatizzazione “mal concepita” dell’operatore telefonico italiano, in particolare, non offre la protezione di un settore settore strategico come quello delle telecomunicazioni, di cui godono attori analoghi in Francia o Germania. La questione della sicurezza nazionale riguarderebbe soprattutto Sparkle, “la società che possiede la rete di cavi sottomarina attraverso cui passano le comunicazioni da e per il Medio Oriente e in molte altre aree sensibili per lo scacchiere geopolitico internazionale, dall’Asia al Nord Europa”, scrive Pons, “non a caso, proprio un anno fa, furono intavolate trattative tra Telecom e la Cdp per scorporare Sparkle e garantire un presidio pubblico almeno in questa società, ma finirono in un nulla di fatto”.

 

L’accesso a queste informazioni in transito verso aree delicate sul piano geopolitico cambierà con de Puyfontaine alla presidenza? No, dicono da Telecom, visto che “il nulla osta di sicurezza che il governo rilascia a coloro i quali hanno responsabilità sulla sicurezza, è in capo all’ad Flavio Cattaneo che ha le deleghe operative su Sparkle”. Peraltro, lo stesso de Puyfontaine è già vicepresidente e membro del comitato strategico.

A ciò si aggiunge, comunque, il dubbio legato alle indagini a carico del futuro presidente di Telecom, attualmente sotto inchiesta della Procura milanese per il presunto aggiotaggio nella scalata a Mediaset. Non è un segreto che Vivendi stia cercando di espandersi in Italia anche sul fronte dei contenuti oltre che su quello delle comunicazioni. La domanda conclusiva di Pons, però, resta la stessa di sempre: questa situazione altrove in Europa si sarebbe verificata con la stessa facilità?