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Religione indiana: in Italia valgono le nostre leggi

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Quello che da tempo chiede il cittadino comune, il Ciccillo CACACE qualunque, oggi lo dice anche la Cassazione: chiunque, extracomunitario compreso, vivendo in Italia, deve conformarsi alle nostre leggi.

Tutto nasce da un episodio registrato dalla cronaca nel recente periodo laddove, un cittadino indiano Sikh voleva circolare nel nostro Paese con un “coltello sacro”.

Gli Ermellini hanno invece sentenziato che “nessun credo religioso può legittimare il porto di armi in luogo pubblico o di oggetti atti ad offendere”.

Il nostro pellegrino, come detto di nazionalità indiana era stato  condannato ad un’ammenda di duemila euro per il reato previsto dall’art.4 della legge n.110/75 (la c.d. legge Reali), perché trovato dalla polizia locale in possesso di un coltello della lunghezza complessiva di cm.18,5 e, invitato a consegnarlo si era rifiutato sostenendo che il comportamento si conformava ai precetti della sua religione, essendo egli un indiano “SIKH”.

Secondo il nostro giudice, un credo o una convinzione  religiosa non può in alcun modo sostituirsi ad una norma penale posta dall’ordinamento giuridico a tutela della “sicurezza pubblica”.

L’indiano non si è arreso e invocando l’articolo 19 della Costituzione più bella del mondo – che spesso dice tutto e alcune volte anche troppo [1] – presenta ricorso: Il coltello (KIRPAN), come il turbante, era un simbolo della religione e il porto costituiva adempimento del dovere religioso.

La Cassazione ha rigettato il ricorso rilevando in primo luogo che il reato contestato ha natura contravvenzionale, essendo punto anche a titolo di colpa, ed è escluso se ricorre un giustificato motivo. Pensiamo al giardiniere che porta il coltello per potare gli alberi o al chirurgo con la borsa dei bisturi[2].

L’imputato, in  altri termini, ha affermato che il coltello era giustificato dal credo religioso per essere il Kirpan – uno dei simboli della religione monoteista SIKH – e grazie alla confusione che la nostra Costituzione riesce ad ingenerare, ne ha chiesto la impunità: richiesta respinta!

Si legge testualmenteIn una società multietnica, la convivenza tra soggetti di etnia diversa richiede necessariamente l’identificazione di un nucleo comune in cui immigrati e società di accoglienza si debbono riconoscere. Se l’integrazione non impone l’abbandono della cultura di origine, in consonanza con la previsione dell’art. 2 Cost. che valorizza il pluralismo sociale, il limite invalicabile è costituito dal rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica della società ospitante. È quindi essenziale l’obbligo per l’immigrato di conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale, in cui ha liberamente scelto di inserirsi, e di verificare preventivamente la compatibilità dei propri comportamenti con i principi che la regolano e quindi della liceità di essi in relazione all’ordinamento giuridico che la disciplina. La decisione di stabilirsi in una società in cui è noto, e si ha consapevolezza, che i valori di riferimento sono diversi da quella di provenienza ne impone il rispetto e non è tollerabile che l’attaccamento ai propri valori, seppure leciti secondo le leggi vigenti nel paese di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante.

La società multietnica è una necessità, ma non può portare alla formazione di arcipelaghi culturali configgenti, a seconda delle etnie che la compongono, ostandovi l’unicità del tessuto culturale e giuridico del nostro paese che individua la sicurezza pubblica come un bene da tutelare e, a tal fine, pone il divieto del porto di armi e di oggetti atti ad offendere. Nessun ostacolo viene in tal modo posto alla libertà di religione, al libero esercizio del culto e all’osservanza dei riti che non si rivelino contrari al buon costume. Proprio la libertà religiosa, garantita dall’articolo 19 invocato, incontra dei limiti, stabiliti dalla legislazione in vista della tutela di altre esigenze, tra cui quelle della pacifica convivenza e della sicurezza, compendiate nella formula dell’. Nello stesso senso, si muove anche l’articolo 9 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che, al secondo comma, stabilisce che «La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo può essere oggetto di quelle sole restrizioni che, stabilite per legge, costituiscono misure necessarie in una società democratica, per la protezione dell’ordine pubblico, della salute o della morale pubblica, o per la protezione dei diritti e della libertà altrui. >>.

La Cassazione nella sentenza in esame non ha ritenuto che il simbolismo legato al porto del coltello possa comunque costituire la scriminante posta dalla legge.

Insomma, la Cassazione ha sostanzialmente detto che nessun credo religioso può legittimare la detenzione e il porto di armi atti ad offendere.

Avrebbe potuto anche aggiungere che in fatto di “credo religioso”, noi qui in Italia abbiamo la Chiesa e Papa Francesco, che basta e avanza!

Amen!

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[1] COSTITUZIONE – Art. 19: Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume. 

[2] Cassazione Sezione Prima, con sentenza n. 24084  pubblicata il 15 maggio