Società

Questa si chiama svalutazione salariale

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ROMA (WSI) – Gli italiani hanno la brutta abitudine di svegliarsi tardi e, quando lo fanno, offrono la sensazione che siano caduti dal pero.

Non capisco tutta questo discutere per il caso Electrolux che, come ben saprete, ha elaborato una proposta per mantenere in vita la produzione negli stabilimenti italiani.

da Leggo:

«Il problema è che i prodotti italiani risentono di costi produttivi superiori a quelli dei concorrenti». Un’analisi che coincide con quella di Electrolux, che ha lanciato l’ultimatum ai dipendenti dei 4 stabilimenti friulani: gli stipendi italiani sono troppo alti, o si adeguano a quelli di altri Paesi o si tagliano i posti di lavoro. E’ la prospettiva delineata, secondo i sindacati, dall’azienda svedese nell’incontro di ieri a Mestre: gli stipendi devono scendere da 1.400 euro al mese, a 700-800 euro. Servirebbe anche una riduzionedell’80% dei 2.700 euro di premio aziendale, la riduzione delle ore lavorate a 6, il blocco dei pagamenti delle festività, il taglio del 50% dipause e permessi sindacali e lo stop agli scatti di anzianità. Ma la spending review potrebbe non bastare: per mantenere la produzione nel Paese, servirebbe almeno una chiusura. La vittima predestinata è lo stabilimento di Porcia (Pordenone), 1.160 persone, dove non è previsto alcun piano industriale: le lavatrici prodotte lì costano, a pezzo, 30euro di troppo, e sono vittima della concorrenza dei marchi Far Est, Samsung ed Lg. Per gli altri tre stabilimenti italiani, ci sarebbero dei tagli lineari ma vi sarebbero come contropartita – se il piano passasse – investimenti di 40 milioni di euro per Solaro, 28 milioni per Forlì e 22 milioni per Susegana.

E questa è la cronaca di questi giorni che racconta una storia nota, ossia che in Italia è assai difficile fare impresa e mantenere competitivi sui mercati internazionali i prodotti che si producono in Italia.

Le cause sono sempre le stesse e sono altrettanto note: eccesso di tassazione, eccessiva burocrazia, tasso di cambio non rappresentativo della struttura economica italiana che rende meno competitivi i prodotti italiani, e chi più ne ha ne metta.

La cronaca di un paio d’anni fa, precisamente dell’agosto del 2011, invece, raccontava della letterina della BCE all’allora governo italiano, presieduto da Silvio Berlusconi.

Giusto per ricordarvelo, si da il caso che, al secondo punto delle raccomandazioni prescritte in quella lettera, era scritto:

C’é anche l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione. L’accordo del 28 Giugno tra le principali sigle sindacali e le associazioni industriali si muove in questa direzione.

Quindi, non si capisce proprio la sorpresa che possa suscitare questo caso, essendo stato descritto nei minimi dettagli e anticipato già dall’agosto 2011.
E cosa è accaduto in questi due anni? È accaduto che la disoccupazione è aumentata e ora, per la semplice legge della domanda e dell’offerta, essendoci più manodopera disponibile ad essere occupata (offerta), chi è in cerca di lavoro è destinato ad accettarlo a condizioni meno favorevoli. Quindi vengono compressi i salari, con la speranza che questo sacrificio possa contribuire a far guadagnare posizioni di competitività alle imprese italiane, altrimenti prossime all’estinzione.

Per dirla in maniera più semplice, lo stato obeso e avvezzo a nutrirsi con dosi sempre maggiori di burocrazia e quindi di ricchezza sottratta agli italiani, anziché mettersi a dieta, preferisce scaricare sui lavoratori le proprie colpe, che si traducono in salari più bassi che tendono a compensare anche la perdita di competitività determinata da un tasso di cambio sfavorevole rispetto ai competitors stranieri.

Il tutto, ovviamente, si consuma sotto lo sguardo vigile dei sindacati e dei partiti che mentono spudoratamente ai lavoratori sul futuro che li attende, poiché, permanendo le condizioni attuali, saranno destinati a diventare parte significativa di un enorme bacino di manodopera a basso costo.

Ciò che sto affermando è (o meglio dovrebbe essere) cosa nota. Tant’è vero che lo stesso Mario Monti, qualche mese fa, intervistato da una emittente televisiva americana, si lodava per aver distrutto la domanda interna, al fine di riequilibrare i passivi della bilancia commerciale italiana. Tasse più alte, non compensate da politiche economiche espansive, sottraggono reddito spendibile alle famiglie. Un minor reddito fa crollare i consumi, quindi la domanda interna. Una minore domanda interna fa esplodere la disoccupazione, che aggrava la recessione, che contrae le entrate dello stato. Quindi, si generano buchi nel bilancio dello stato che devono essere compensati con nuovo gettito fiscale. E si riparte dall’inizio.

Capisco che in Italia ci sia l’esigenza di riempire le pagine dei giornali sussidiati o quella di offrire dibattiti televisivi privi di senso, dove siedono ritualmente politici e sindacalisti (il più delle volte analfabeti economici, o, nel migliore dei casi, in malafede) che, con la solita retorica vuota di contenuti, si esercitano a farvi la morale o a suggerirvi come potete arrivare alla fine del mese, senza proporre alcuna soluzione seria e fattibile. Ma di questa crisi, caro lettore, è stato già scritto più o meno tutto.

E questo è solo una parte dell’epilogo, che è stato anch’esso scritto.
Urlare quando la realtà presenta il conto è assai poco utile. E accrescere il risentimento e le avversità verso coloro che hanno scritto il vostro gramo futuro, costituisce solo una magra consolazione che non sarà utile a salvarvi il culo. Il cui culo, loro, non subendo alcuna svalutazione salariale, ce l’hanno già ben riparato. Voi no, invece.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Vincitori e Vinti – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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