Economia

QE pomo della discordia, è guerra intestina alla Bce

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

FRANCOFORTE (WSI) – Un vero e proprio scontro è quello che sta avvenendo nelle ultime ore nella stanza dei bottoni della più importante istituzione economica della zona euro, la Bce di Mario Draghi. Uno scontro che vede da una parte il presidente Draghi e dall’altra il contingente tedesco con Sabine Lautenschläge,  membro del Consiglio esecutivo della stessa Bce.

A pochi giorni dalla conferenza stampa in cui il presidente Draghi ha affermato che la Bce è pronta a espandere il suo programma di Quantitative Easing nel prossimo incontro del 3 dicembre, arriva un forte segnale dalla Germania che dimostra la sua forte resistenza a ulteriori stimoli.

Il terreno di scontro riguarda proprio le nuove misure di stimolo per la ripresa dell’economia della zona euro.

Così Mario Draghi, il numero uno della Bce, conferma il suo pieno sostegno alla validità di un piano di stimolo in forma mista che preveda da una parte tassi ai minimi (anche negativi) e dall’altra acquisti di asset, potenziando al contempo le misure di politica monetaria nel prossimo mese di dicembre.

Ma a non essere d’accordo con le parole di Draghi è Sabine Lautenschläger che insieme al presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, è tra i 25 membri facenti pare del Consiglio direttivo della BCE. Secondo  Sabine Lautenschläger, parlando al margine di una  conferenza a Monaco di Baviera, non c’è alcuna necessità per la Banca Centrale Europea di rafforzare il piano di stimolo.

“I dati recenti hanno mostrato che la zona euro è resistente ad alcune fragilità dell’economia globale (…) Per me è chiaro: al momento non vedo alcun motivo per ulteriori misure di politica monetaria, soprattutto non un ampliamento del programma di acquisto di asset”.

In sostanza se la Bce dovesse perseguire nella sue politiche di sostegno, non vedrà l’appoggio del contingente tedesco.

Bce: da un lato il QE, dall’altro lato la vigilanza. E’ una contraddizione?

Intanto oggi ha preso la parola Daniele Nouy, presidente del consiglio del meccanismo di vigilanza unico della Bce, nel corso del suo intervento alla conferenza organizzata dalla Banca d’Italia sulla vigilanza nell’area euro.

Le esposizioni deteriorate “rappresentano ancora una seria sfida sul piano prudenziale in alcuni Paesi, inclusa l’Italia“, ha detto Nouy, affermando che le banche:

“si confrontano tuttora con una serie di difficoltà, tra cui i bassi livelli di redditività e la permanenza di esposizioni deteriorate in bilancio“. Quest’ultimo problema, ha spiegato, “è determinato da una serie di fattori tra i quali le condizioni economiche generali, elevati oneri pregressi relativi ad attività preesistenti, in particolare nei paesi più colpiti dalla crisi finanziaria, e sistemi di recupero crediti talvolta carenti”.

Gli istituti:

“devono far fronte a un elevato livello di accantonamenti. Un numero di banche sarà costretto a una radicale revisione del proprio modello di business alla luce di tali andamenti. L’attuale contesto economico  potrebbe incentivare alcune banche a modificare il proprio modello di business, soprattutto per ridurre la propria dipendenza dalle attività tradizionali che generano interessi attivi”.

Riguardo alle critiche secondo cui la Bce da un lato promuoverebbe una politica monetaria espansiva ma dall’altra sarebbe un’organismo troppo severo con le sue attività di vigilanza, Nouy ha detto:

“Secondo le critiche, fissare i requisiti di capitale al di sopra del minimo regolamentare soffoca la ripresa dell’economia reale che la Bce tenta di favorire con la sua politica monetaria. Non vi stupirà che io la veda diversamente. In primo luogo  in una prospettiva di breve termine, di primo acchito potrebbe sembrare corretto affermare che l’imposizione di requisiti di capitale aggiuntivi induca a ridurre l’erogazione di prestiti all’economia reale. Io però ne dubito. La maggior parte delle nostre banche detiene riserve di capitale al di sopra dei requisiti minimi; pertanto le decisioni Srep non avrebbero un impatto significativo sull’offerta di credito da parte di tali enti, e gli effetti sull’economia reale sarebbero limitati”.

Inoltre, ha continuato:

“Anche qualora un ente creditizio riducesse la leva finanziaria a seguito di una decisione Srep è ragionevole ipotizzare che per raggiungere tale obiettivo ridimensioni in primis le attività non strategiche. L’erogazione di prestiti dunque non ne risentirebbe in prima battuta. L’applicazione di coefficienti patrimoniali più appropriati a seguito di una decisione Srep comporterebbe inoltre una diminuzione dei costi di finanziamento della banca, che dovrebbe avere un effetto positivo sul credito all’economia reale”.