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Procedura penale: “a domanda risponde”

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L’attività più delicata e importante per il buon esito di un’attività investigativa svolta dalla polizia giudiziaria, è sicuramente rappresentata dalla raccolta di indizi ed informazioni.

In tal senso, il canale principale è la raccolta di testimonianze da parte di “persone informate sui fatti”, nell’ambito dell’attività d’iniziativa dell’organo di polizia – ex art. 351 c.p.p. – o su delega dell’Autorità giudiziaria – ex art. 370 c.p.p..

Nella vigenza del vecchio Codice di procedura penale, la verbalizzazione relativa alla citata attività contemplava unicamente la indicazione delle “risposte” delle persone interrogate, annotando la “domanda” con la formula “a.d.r.” (a domanda risponde). Era una cattiva abitudine di verbalizzare atti d’indagine, in quanto non si consentiva una esatta interpretazione dell’acquisita testimonianza in ordine alla veridicità delle risposte ed alla reale disponibilità a collaborare.

In altri termini e soprattutto a distanza di qualche tempo, leggendo la sola risposta, era rimessa alla intelligenza e professionalità delle persone interessate nella fase investigativa (Pubblico ministero, Giudice delle indagini preliminari, Giudice dell’udienza preliminare) o in sede dibattimentale (in genere le parti del processo), comprendere o solo immaginare il tipo e formulazione della domanda rivolta al testimone.

E’ facile immaginare l’oggettiva difficoltà, soprattutto in indagini per fatti di sangue o comunque particolarmente complesse.

Non indicare la “domanda“ all’atto della verbalizzazione, a posteriori, non consentiva di valutare l’adeguatezza delle risposte fornite ma soprattutto, volendo aggiungere un ricordo personale nella veste di Comandante di un reparto della Guardia di finanza di stanza in terra di Calabria, deputato al contrasto alla criminalità organizzata, non mi consentiva di verificare il grado di conoscenza dell’indagine da parte dei miei collaboratori che, nella veste di “ufficiali di polizia giudiziaria” conducevano le diverse e molteplici attività investigative, sia pure coordinate da chi scrive.

Questa è la ragione per la quale, da sempre, pretendevo la indicazione completa della domanda formulata, in occasione della verbalizzazione delle acquisite testimonianze.

Con l’avvento del nuovo Codice di procedura penale dell’ottobre 1989 , il problema venne teoricamente superato in quanto, l’articolo 136 codificò l’obbligo della indicazione della “domanda” laddove le dichiarazioni non fossero rese spontaneamente .

Dico teoricamente in quanto, grazie all’abusato vezzo, sovente, ancora oggi, mi capita di leggere atti di polizia giudiziaria riconducibili alle attività testé citate riportanti la vecchia formula “a.d.r.”.

Non comprendere l’importanza della novità, peraltro codificata, per come abbiamo visto, anche nel vigente Codice di procedura penale significa, a mio avviso, avere una visione egocentrica e unilaterale dell’indagine secondo teoremi precostituiti, non consentendo ad altri – come la legge impone – di entrare nel merito dell’indagine svolta.

Con questo breve ricordo, ho voluto commentare una disfunzione che, per quanto modesta e forse da molti sicuramente ritenuta irrilevante, costituisce al contrario un segnale che, laddove opportunamente recepito, potrà fornire alla fase delle indagini preliminari quella trasparenza molto attesa dalle parti del processo a cominciare dalla fase dibattimentale.

Forse le abitudini, anche quelle brutte, si possono cambiare.