Economia

Perché così tanti europei vogliono dire addio all’euro

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Sergi Cutillas è solo uno dei tanti economisti che ha perso l’entusiasmo per l’euro. Quando la Spagna è entrata a far parte dell’unione monetaria era convinto della bontà della decisione. Ora vuole invece lo smantellamento dell’Eurozona e il ritorno ai pesos.

“L’Eurozona ha fallito, è stato un esperimento andato a finire male. Un pio desiderio”, ha dichiarato a CNN Money. Il 34aenne economista vorrebbe che il suo paese, la quarta economia per Pil dell’area, abbandoni l’euro. Cutillas è in buona compagnia: il 25% della gente vorrebbe la stessa cosa, secondo un sondaggio dell’Unione Europea.

L’astio nei confronti dell’euro è molto alto anche in Francia e Italia, dove presto si terranno le elezioni. A Parigi per la corsa all’Eliseo ci sono almeno due candidati anti europeisti che hanno chance di vincere, Jean-Luc Mélenchon della sinistra radicale e Marine Le Pen, del Front National. Quest’ultima vuole indire un referendum sull’uscita dall’euro della Francia.

La candidata favorita nel primo turno delle presidenziali francesi ha detto di recente, a febbraio sull’emittente tv France 2, che non è la sola a volere l’addio all’euro. Le Pen ha fornito un elenco di 188 economisti, tra cui 12 premi Nobel, che come lei sono contrari al progetto dell’euro. Alcuni di loro però non ci stanno a essere citati da Le Pen e non vogliono essere associati con. il programma economico della leader del Front National.

Stanco di essere citato tra i sostenitori dell’uscita dall’Euro, il premio Nobel per l’Economia, professore della Columbia ed economista di orientamento progressista Joseph Stiglitz ha firmato un appello contro l’uscita dall’euro e contro la strumentalizzazione del pensiero economico nel quadro della campagna elettorale francese.

Insieme a lui hanno firmato anche Angus Deaton (Princeton, premio Nobel nel 2015), Peter Diamond (Massachusetts Institute of Technology, 2010), Robert Engle (università di New York, 2003), Eugene Fama (Chicago, 2013), Lars Hansen (Chicago, 2013), Oliver Hart (Harvard, 2016), Bengt Holmström (MIT, 2016), Daniel Kahneman (Princeton, 2002), Finn Kydland (Carnegie-Mellon, 2004), Eric Maskin (Harvard, 2007), Daniel McFadden (Berkeley, 2000), James Mirrlees (Cambridge, 1996), Robert Mundell (Columbia, 1999), Roger Myerson (Chicago, 2007), Edmund Phelps (Columbia, 2005), Chris Pissarides (London School of Economics, 2010), Alvin Roth (Stanford, 2012), Amartya Sen (Harvard, 1998), William Sharpe (Stanford, 1990), Robert Shiller (Premio Nobel per l’Economia, professore a Yale, 2013), Christopher Sims (Princeton, 2011), Robert Solow (Columbia, 1987), Michael Spence (Stanford, 2001) e Jean Tirole (Toulouse School of Economics, 2014).

Perché europei non vogliono più avere a che fare con l’euro

Tra i problemi principali del progetto di un’Europa unita che vengono citati vi sono le divisioni culturali ed economiche troppo forti al suo interno. La Germania non vuole condividere i debiti e trasferire denaro ai paesi meno virtuosi e più deboli come la Grecia, il Portogallo, la Spagna e l’Italia, mentre quelli economicamente meno solidi tendono a non riuscire a rispettare le regole di bilancio.

I tassi di interesse che questi paesi – i cosiddetti Piigs o Club Med d’Europa – hanno dovuto pagare ai creditori da quando l’euro è entrato in vigore sono crollati, ma il valore della moneta si è rafforzato nettamente, favorendo i commercianti ma abbattendo in alcuni casi il potere d’acquisto delle famiglie meno abbienti.

Ma i veri problemi sono arrivati con la crisi finanziaria. Guardando ai tassi di interesse nominali, gli investitori si erano illusi che la Grecia fosse diventata come la Germania, spiega alla CNN il professore Alberto Bagnai. “Si è trattato di un’illusione ottica“, dice.

Con lo scoppio della crisi del debito sovrano in Europa, i difetti dell’unione monetaria sono diventati evidenti. In Spagna per esempio le autorità politiche non sono riuscite a svalutare l’euro per contrastare la bolla immobiliare e del debito.

Il governo di Madrid è watt costretto invece a ridurre le spese pubbliche e adottare un programma di austerity che ha avuto un impatto molto negativo sugli standard di vita dei cittadini e sul mercato del lavoro. Il 20% di tasso di disoccupazione che abbiamo ora in Spagna è un risultato diretto dell’euro”, denuncia l’economista Cutillas.

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Fuori dall’euro, “è una questione di sovranità”

Vincent Brousseau è un economista ma per lui i problemi dell’euro non sono economici quanto piuttosto politici. La moneta unica minaccia infatti la sovranità nazionale della Francia e degli altri Stati membri. E questo non verrà veramente mai accettato dalla popolazione. Bagnai ritiene che anche in Italia si arriverà prima o poi all’uscita dall’euro, forse tra dieci anni, ma sarebbe meglio arrivarci il prima possibile per mitigare i danni, secondo il professore dell’Università G.D’Annunzio di Pescara.

Brousseau, che la lavorato per la Bcefino a qualche Ann o fa prima di pentirsene, ha spiegato alla CNN che il problema principale dell’euro è che “non è francese”. “Non conta se è svalutato o sopravvalutato. Conta il fatto che bisogna che i paesi prendano le proprie decisioni” in autonomia.

Brousseau era un europeo convinto ma poi ha gradualmente cambiato idea negli ultimi 15 anni trascorsi a lavorare per la banca centrale europea, che fissa tassi di interesse e politiche monetarie unificate per 19 stati con strutture diverse fra loro. “Ho capito che trasferire la sovranità dalla Francia al Superstato europeo non è positivo per la nostra nazione”, ha dichiarato Brousseau, che ora è il supervisore del partito UPR (Unione Popolare Repubblicana) nei temi inerenti la politica economica e monetaria. Il candidato dell’UPR alle presidenziali, favorevole alla revisione di tutti i trattati europei, è Francois Asselineau.