Società

ORA CASH,
POI BIG EUROPEE

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(WSI) –
Soltanto due settimane fa, proprio sulle colonne di Borsa & Finanza (e qui su Wall Street Italia: clicca su IL RIALZO INFINITO? TURBA L’ANALISTA) Ronan Carr, responsabile degli investimenti per l’Europa di Mongan Stanley, sosteneva con dovizia di argomenti che i mercati azionari europei erano vulnerabili a un ripiegamento anche significativo, nel breve termine. Secondo Carr le Borse avrebbero presto sofferto una combinazione di quotazioni elevate e di tassi di interesse orientati al rialzo. Trascorsa una manciata di sedute, il capitombolo ha preso corpo, seppure partendo dall’Asia.

Così, un po’ impressionati dalla chiaroveggenza dell’esperto, abbiamo cercato di capire di più.

Signor Carr, come aveva previsto, l’azionario europeo e più in generale le Borse mondiali stanno subendo un capovolgimento. Molti risparmiatori hanno trascorso la settimana col cuore in gola…

È vero, ci sono state due giornate con perdite superiori al 2 per cento. Di solito non sono episodi isolati. Le ultime due correzioni delle Borse sono iniziate all’insegna del panico. Ricordate il mini tonfo di maggio-giugno 2006? A nostro modo di vedere, difficilmente i grafici raggiungeranno nuovi massimi nei prossimi 3-6 mesi.

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Ma il 2007 sarà un anno nero?
Mi sento di escluderlo. Siamo di fronte a un aggiustamento; le vendite difficilmente sfoceranno in una crisi permanente.

È in grado di formulare un’ipotesi? Qual è il potenziale di discesa dei listini?
Dal picco, i principali indici hanno lasciato per ora sul campo il 5-6 per cento. Non sarei stupito se la perdita raggiungesse il 15. A quel punto, le piazze europee sarebbero di nuovo a sconto rispetto ai fondamentali. E si potrebbe tornare a salire, per registrare a fine anno un apprezzamento di circa il 6% rispetto al 2006.

Quali sono i principali elementi di rischio in Europa?
In primo luogo le valutazioni. Molti hanno adottato la tesi secondo cui i prezzi sarebbero congrui rispetto agli utili. Questi analisti mostrano il rapporto tra prezzi e utili che per l’indice Msci Europe è di circa a 14. E dicono: non è tanto.

Ma lei non è d’accordo?
Esattamente. Il fatto è che solo pochi titoli ad alta capitalizzazione hanno quotazioni molto convenienti. Tutti gli altri sono cari. Ma quando si fanno i calcoli i titoli maggiori abbassano la media e fanno apparire il mercato a sconto.

Cos’altro la preoccupa?
Il rincaro del costo del denaro. Il numero dei Paesi che stringe le condizioni del credito è in continua crescita. L’elenco include il Giappone, la Cina, l’India, il Regno Unito, la Svezia e la Norvegia. La Banca centrale europea porterà il saggio base al 3,75% nella riunione della settimana ventura. E infine sono preoccupato per una certa compiacenza da parte dei risparmiatori verso l’investimento azionario.

A cosa si riferisce?
Guardi ad esempio le posizioni speculative sull’indice Nasdaq. Nelle scorse settimane il numero di contratti a termine aveva raggiunto l’apice del 2000. Quando la febbre della speculazione sale, basta un niente a scatenare il fuggi fuggi generale.

Ma a suo giudizio l’economia è a rischio di recessione?
Niente affatto. È vero il contrario. Il motore della produzione gira a pieno regime. Le autorità monetarie ricorrono alla leva del credito proprio in risposta al ritmo di sviluppo.

Qual è il suo portafoglio ideale per attraversare il mare in tempesta?
Tanto cash, poche obbligazioni e una quota di azioni in linea con gli obiettivi di lungo termine. Voglio dire una quota non sovrappesata, perché siamo nel bel mezzo di una rettifica dei corsi; ma neanche sottopesata perché il 2007 sarà positivo.

E per quanto riguarda i settori?
Ci piacciono i petroliferi, le tlc e i farmaceutici. Hanno valutazioni molto invitanti e offrono corposi dividendi.

Quelli da evitare?
Soprattutto i finanziari. Sono cari e risentono dei rialzi dei tassi d’interesse.

Se i prezzi continuassero a scendere, quali le opportunità migliori?
I titoli a larga capitalizzazione.

Può spiegare meglio?
Certamente. In sintesi, i prezzi delle aziende maggiori sono fortemente a sconto rispetto alle small-cap; i loro bilanci mostrano una notevole solidità, e inoltre la corsa alle fusioni e alle acquisizioni coinvolge in misura crescente i pesi medi e massimi del mercato.

In che senso le valutazioni sono a sconto?
Da ogni punto di vista. Ad esempio, le società europee con una capitalizzazione tra i 15 e i 35 miliardi di euro pagano un dividendo medio del 3,2 per cento. Al contrario, il segmento a bassa capitalizzazione propone il 2 per cento. Il discorso è identico per qualsiasi multiplo si prenda in considerazione. Quanto più si sale di dimensione, le azioni diventano meno care.

Dunque vanno preferite le megacompagnie?
Non proprio le megacompagnie. Direi di stare fra i 15 e i 35 miliardi di euro perché, in questo caso, si beneficia anche dell’ondata di M&A. È oggettivamente difficile scalare un gigante da 90 miliardi di euro. Perciò meglio scendere un po’ di stazza.

Bene, abbiamo parlato di M&A e di multipli. Manca qualcosa?
Forse dovremmo citare la solidità dei bilanci. Per i grandi nomi dei listini europei, il rapporto fra debito e patrimonio è stimato al 33%, una cifra che lascia dormire sonni relativamente tranquilli.

Alcune Banche centrali hanno dichiarato di voler investire nei titoli azionari più blasonati? Cosa ne pensa?
È vero, ad esempio, per la Cina e la Corea. Hanno i forzieri pieni di liquidità e vorrebbero trovare sbocchi redditizi alle riserve. Le autorità di Seul hanno indicato specialmente le blue-chip dei Paesi sviluppati. È un ulteriore segno che dopo la correzioni in corso il mercato rialzista troverà una nuova prospettiva di vita. E credo partendo dalle blue chip.

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