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Non solo criptovalute: febbre blockchain investe le materie prime

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Il Bitcoin e l’oro non sono in concorrenza. Anzi. La criptovaluta, seppure indirettamente tramite la diffusione della blockchain, rafforzerà la domanda del metalli prezioso.

Secondo quanto si legge in un articolo pubblicato dal Sole 24 Ore, firmato da Sissi Bellomo:

 “La tecnologia, nata con le criptovalute, si sta facendo strada rapidamente nel settore delle materie prime: un settore in cui regnano incontrastate le valute tradizionali, a cominciare dal dollaro, ma in cui è sempre più sentita l’esigenza di tracciare e semplificare gli scambi, rendendoli più sicuri e più economici” si legge nell’articolo, in cui si specifica che la blockchain “Funziona come un immenso registro elettronico, in cui – senza il rischio di manipolazioni e tagliando i costi di intermediazione – si possono conservare e consultare un’infinità di informazioni, di tipo contrattuale e non solo“.

Non è dunque un caso che la London Bullion Market Association (Lbma), ovvero l’organismo che supervisiona il mercato londinese dell’oro fisico sia scesa in campo alla ricerca di

“proposte per sviluppare una blockchain in grado di certificare la tracciabilità del metallo, dalla miniera fino ai caveaux della City, in modo da evitare frodi e riciclaggio, ma anche per rassicurare gli investitori sul fatto che i lingotti non sono «insanguinati», ossia non sono serviti a finanziare guerre o terrorismo”.

Ma non solo.

Anche il World Gold Council (Wgc), che rappresenta le società aurifere, si starebbe muovendo verso la blockchain, ma con uno scopo diverso: secondo indiscrezioni raccolte dalla Reuters potrebbe utilizzarla per promuovere la diffusione delle kilobar, barre da un 1 kg di oro comunemente accettate in Asia, ma non in Occidente, dove prevale il London Good Delivery Standard.