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NEL 2007 I TASSI SCENDERANNO

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*Responsabile del Servizio Studi BNL. Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Con tutta probabilità, giovedì prossimo 7 dicembre la Banca Centrale Europea deciderà un nuovo aumento che porterà il tasso di rifinanziamento al 3,50%. E’ quanto economisti e operatori prevedono in maniera piuttosto unanime. Poi, il martedì successivo, sarà il turno della Federal Reserve.

Il consenso dei pronostici dice che la riunione del comitato direttivo della Riserva Federale (il FOMC) del 12 dicembre potrebbe confermare invariati sia il livello del tasso sui Fed Funds sia l’intonazione (il cosiddetto “bias”) vigile della politica monetaria americana. Poi ci saranno le feste e comincerà il nuovo anno. Ma il 2007 non sarà un anno di facili previsioni sulle scelte delle due principali banche centrali del pianeta.

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Cosa succederà ai tassi americani? Nell’edizione di novembre del “Consensus Forecasts”, la previsione più frequente tra quelle raccolte presso gli esperti indica una stabilità del tasso sul Fed Fund al 5,25% sino a tutto il primo trimestre del 2007 seguita da possibili tagli già nel secondo e nel terzo trimestre. Un po’ come le medie di Trilussa, le previsioni di consenso sono però difficili da interpretare in periodi in cui l’incertezza appare destinata ad aumentare. E’ questo il caso dello scenario americano, su cui grava l’alea di un deciso rallentamento economico.

Secondo le previsioni degli economisti di BNP Paribas riprese in Italia nel “Focus settimanale” del Servizio Studi di BNL, la decelerazione degli Usa è già oggi evidente in settori strategici come le costruzioni e l’automobilistico.

Tra gli agenti immobiliari americani circola l’aneddoto che, di questi tempi, per vendere rapidamente una nuova casa sia opportuno aggiungere all’immobile anche il regalo di un comodo garage, meglio se con una macchina nuova dentro.

Riguardo all’industria, una significativa discesa sotto quota 50 dell’indice ISM relativo alla fiducia delle imprese manifatturiere statunitensi potrebbe indurre la Fed ad anticipare i tempi di un allentamento. Le autorità monetarie preferiranno agire prima che il rallentamento dell’economia si traduca in un calo marcato degli occupati. Farlo dopo potrebbe danneggiare la loro credibilità e rendere meno efficace la futura condotta della politica monetaria.

L’affievolimento della crescita, in assenza di tensioni sui corsi del petrolio, lenirà le preoccupazioni che in America ancora si nutrono sull’andamento della cosiddetta inflazione “core”, ovvero al netto di energia e alimentari.

A ben vedere, negli Usa l’attuale vivacità dell’inflazione “core” non indica un rischio prospettico di surriscaldamento, mentre è un sintomo della crescita che abbiamo alle spalle. L’inflazione al netto dell’energia si aggiusta oggi con ritardo ai forti aumenti segnati in passato dal prezzo del petrolio. Questo accade perché, a monte della filiera, il problema dei rincari dell’oro nero appare al momento superato.

In più, l’indice “core” americano aumenta perché crescono negli Usa gli affitti che la gente trova più convenienti rispetto ai prezzi troppo alti raggiunti dalle case in vendita. Anche questo non è un presagio di inflazione futura bensì un ulteriore sintomo delle difficoltà in cui già oggi versa il mercato immobiliare americano.

Varcando l’Atlantico, lo scenario della politica monetaria europea appare ugualmente confrontarsi con numerose incertezze. L’economia di Eurolandia chiuderà il 2006 ad un passo ancora tonico, trainato dall’anticipazione di acquisti di beni durevoli da parte dei consumatori tedeschi. Poi, però, nel corso del 2007 sconteremo sulla crescita sia gli effetti dell’aumento dell’Iva in Germania sia le conseguenze delle manovre di riduzione dei disavanzi pubblici decise in importanti paesi.

A tutto ciò si aggiungerà il riflesso del rallentamento negli Usa. Seppur con ritardo, la trasmissione transatlantica del ciclo americano rallenterà la crescita del Vecchio Continente.
Oltre all’effetto diretto di minori importazioni degli Usa dall’Europa ci sarà un “effetto eco” dato dai contraccolpi mediati da altre aree globali. Se gli Usa rallentano, i primi a soffrirne potranno essere la Cina e gli altri grandi paesi del continente americano.

La decelerazione dei partner commerciali più stretti si riverbererà poi sull’Europa. Quale sarà la misura complessiva di riduzione della crescita europea? A Francoforte stimano un calo di 0,2 punti di crescita annua del Pil dell’area euro per ogni punto intero di riduzione del saggio di sviluppo Usa. Altre stime indicano la possibilità di un arretramento più sostenuto e pari a circa mezzo punto percentuale di crescita europea.

Il riverbero del rallentamento americano sarà tanto più intenso per l’Europa quanto più si accompagnerà a un marcato deprezzamento del dollaro sull’euro. E la rivalutazione della moneta europea, che appare iniziata già in questo ultimo scorcio del 2006, potrebbe suggerire prudenza alla Bce nella decisione se proseguire o meno nella fase di aumento dei tassi nel corso del prossimo anno.

Tirando le somme, una lettura dello scenario monetario internazionale ci consegna un 2007 ove Fed e Bce potrebbero tornare a preoccuparsi più della crescita che dell’inflazione. Tra il 2006 e il 2007 i numeri previsti dagli economisti di Bnp Paribas parlano di un calo dal 3,2 all’1,6 per cento del tasso di aumento del Pil americano e di un ribasso dal 2,6 all’1,8 per cento per la crescita dell’area dell’euro. In questo contesto, l’allentamento delle politiche monetarie potrebbe rendersi visibile prima negli Usa per poi interessare, verso la fine del 2007, anche l’Europa.

Oggi sono due i punti percentuali che separano i livelli dei saggi guida sulle due sponde dell’Atlantico. Tra tredici mesi, a dicembre del prossimo anno, i tassi di riferimento di Fed e Bce potrebbero trovarsi appaiati al 3 per cento. E’ una possibilità.

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