Economia

Moneta fiscale: cos’è e come funziona la proposta del M5S

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Il Movimento 5 Stelle si è recentemente fatto promotore della creazione di una moneta fiscale da affiancare all’euro, in modo da aggirare alcuni vincoli che quest’ultimo impone al Paese. Com’è ormai chiaro da anni, l’euro è una moneta la cui emissione non è controllata né direttamente né indirettamente dallo stato: per finanziare un investimento, dunque, lo stato non può optare per l’allargamento della base monetaria attraverso l’acquisto diretto da parte della Banca d’Italia dei suoi titoli di debito di nuova emissione. Nemmeno tramite il Qe la Bce acquista direttamente i titoli dagli stati, ciò, lo ricordiamo, avviene sempre sul mercato secondario. Secondo molti economisti di scuola keynesiana, cui i pentastellati si ispirano, i vincoli dati dall’euro impediscono allo stato di compiere gli investimenti necessari per far sì che l’economia riparta.

 

La moneta fiscale interviene, di fatto, come la creazione di nuovo potere d’acquisto per i cittadini tramite l’emissione di crediti fiscali, che potranno essere sia scambiati come se fossero moneta sia utilizzati come pagamento per le imposte. Le caratteristiche fondamentali di questi crediti, secondo quanto riassume il professore intervenuto sul Blog di Grillo, Gennaro Zezza (università di Cassino), sono le seguenti:

  1. Hanno un controvalore in euro, presumibilmente con rapporto 1 a 1
  2. Non possono essere convertiti in euro o in altre monete e che, pertanto, il proprio orizzonte di utilizzo si limita ai pagamenti sul territorio nazionale (non potranno essere utilizzati per investire in borsa o per pagarsi le vacanze all’estero). Ciò, nella mente dei suoi fautori, aiuterà la domanda di beni e servizi interni, ottimizzando gli effetti anche sull’occupazione nel territorio nazionale.
  3. Non sarà imposta come mezzo di pagamento. Legalmente l’unica moneta resterà l’euro, ma la moneta fiscale, espletando la funzione finale del pagamento delle tasse verso lo stato, avrà l’appetibilità che serve per essere accettata dai cittadini come valore di scambio. In questo modo, secondo i pentastellati, la nuova moneta resterebbe compatibile con i trattati europei.

Come potrebbe essere iniettata questa nuova moneta fiscale nell’economia?

Attraverso diverse forme di spesa pubblica, che in questo caso sarebbe finanziata (perlomeno in parte) tramite l’emissione di moneta fiscale a beneficio dei lavoratori. Altre possibilità sono il pagamento dei debiti dello stato verso i fornitori e banche private o l’integrazione di questa moneta negli assegni di disoccupazione o nelle pensioni più basse.
Quali sarebbero, invece, i limiti dell’espansione monetaria ottenuta di fatto dall’emissione dei cosiddetti Certificati di Credito Fiscale?

  1. I limiti recati dal pericolo inflazione: “se l’offerta non è in grado di aumentare”, di pari passo con la nuova domanda creata tramite la moneta fiscale, “si crea inflazione. Siamo tuttavia molto, molto lontani in Italia da una situazione di questo tipo”, scrive Zezza.
  2. I limiti della bilancia corrente: “L’aumento di domanda si rivolge anche ai beni prodotti all’estero sotto forma di importazioni, prosegue il professore, “si tenga presente, però, che il saldo delle partite correnti dell’Italia negli ultimi dodici mesi era di 45 miliardi di euro: una manovra espansiva dell’ordine di 100 miliardi di euro dovrebbe generare maggiori importazioni per un ammontare molto inferiore”.
  3. Infine, è necessario che “la quota di imposte che viene pagata in moneta fiscale deve essere tarata in modo da non generare un aumento del deficit pubblico in euro. Se usata per finanziare la ripresa, la moneta fiscale genera un aumento del reddito nazionale, e quindi del gettito tributario: questo punto non va quindi valutato come semplice sostituzione tra euro e moneta fiscale, ma deve tener conto dell’aumento nel gettito totale”.