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I mercati snobbano la Nord Corea. Sottovalutano Kim Jong-Un?

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La Nord Corea fa paura, ma non ai mercati. Almeno fin qui. Nelle ultime settimane, i test nucleari celebrati dal dittatore Kim Jong-Un e l’escalation della tensione con gli Stati Uniti hanno riempito le prime pagine dei giornali, senza tuttavia influenzare in modo determinante l’umore degli investitori. Secondo l’ultima edizione del sondaggio mensile condotto da Bank of America Merrill Lynch sui gestori dei fondi globali, il maggiore rischio di coda è rappresentato da un potenziale errore di politica monetaria da parte della Fed o della Banca centrale europea (22%). La Nord Corea è citata dal 19% dei rispondenti all’indagine – che ha coinvolto 202 asset manager riconducibili a 587 miliardi di dollari in gestione – eppure non sembra per il momento compromettere l’appetito per il rischio.

“Guardando ai movimenti dei prezzi, sembra che i mercati non condividano l’ansia dei media”, osservano gli analisti di Deutsche am. Il focus è sulla valuta della Corea del Sud, il Paese forse più esposto alla pericolosa retorica di guerra e alle minacce militari di Kim Jong-Un: da inizio anno, il won sudcoreano si è apprezzato di circa il 6 punti percentuali rispetto al biglietto verde. “La divisa praticamente non ha reagito. I movimenti recenti non sono in alcun modo paragonabili ai colpi che abbiamo assistito durante la crisi finanziaria, per non parlare della crisi asiatica degli anni ’90. La volatilità implicita nei mercati delle opzioni, un altro indicatore comune del rischio, rimane altrettanto contenuta”, spiegano gli esperti di Deutsche am.

Un discorso analogo vale per la Borsa di Seul. L’indice azionario sudcoreano, il Kospi, si è apprezzato del 16,4% nel 2017, tre punti percentuali nell’ultimo mese. Il mercato non crede all’ipotesi di uno scontro armato e lo scenario di base rimane quello che Phil Poole, capo della ricerca di Deutsche am, ha descritto in una recente pubblicazione: si evita l’escalation militare, la minaccia nucleare rimane ma viene arginata da sanzioni e pressioni implicite.

“Credere che la Nord Corea possa disfarsi del proprio arsenale nucleare volontariamente è illusorio quanto pensare che un’eventuale potenza estera sia in grado di sferrare un preventivo colpo chirurgico in grado di distruggere le capacità nucleari del Paese. Un fronte allineato a favore di sanzioni più elevate, principalmente da parte di Russia, Cina e Stati Uniti, potrebbe domare la Nord Corea e mettere fine a nuove provocazioni. Tuttavia – spiega Poole – il conflitto ha ancora le potenzialità per modificare in modo considerevole l’appetito per il rischio degli investitori internazionali”.

La questione sarebbe assai meno rilevante se non coinvolgesse la Sud Corea. Non tanto per le dimensione del suo Pil (vale solo il due per cento della ricchezza prodotta a livello globale, cinquanta volte il livello della Nord Corea). Ma soprattutto per la centralità del Paese nel sistema produttivo internazionale e per la sua posizione di mercato dominante in alcune industrie, specialmente i consumi e l’elettronica. Seul, ricorda il capo della ricerca di Deutsche am, produce il 40% dei display a cristalli liquidi su scala globale e il 17% dei semiconduttori.

“Il timore è che un attacco da parte della Nord Corea possa non solo danneggiare l’economia del Paese, ma spezzare le catene di alcuni processi di produzione e distribuzione internazionale”.

Ai due scenari di rischio – un conflitto militare di dimensioni contenute o una crisi globale più grave, per il coinvolgimento di altre potenze della regione, Cina e Giappone in primis – viene attribuita una probabilità bassa, inferiore al 10% per entrambi. Ma finché non ci sarà un allineamento delle maggiori potenze per mettere a freno la pericolosa esuberanza del dittatore nordcoreano, conclude Poole, “i mercati finanziari reagiranno a sporadiche scintille nella regione o cambiamenti di tono da parte di NordCorea e Stati Uniti”.