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Mediolanum indagata

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Milano – Sotto il cielo d’Irlanda, se sei straniero e porti denaro, si pagano poche, pochissime tasse. Lo sa bene Ennio Doris che ha trasferito da quelle parti la cassa di Mediolanum. Somme importanti: profitti per centinaia di milioni riescono ogni anno a dribblare le imposte con il risultato di ridurre al minimo l’impatto del Fisco sui conti del gruppo controllato dallo stesso Doris insieme al suo amico Silvio Berlusconi. Tutto bene, se non fosse che dopo anni d’inerzia l’Agenzia delle entrate ha messo nel mirino questo gioco di sponda tra Milano e Dublino. Quei soldi che tornano in Italia sotto forma di commissioni per la gestione dei fondi d’investimento irlandesi vanno tassati come reddito nostrano.

Questa in sintesi la contestazione degli ispettori ministeriali che a giugno e poi a ottobre del 2010 hanno messo per iscritto i loro rilievi a Banca Mediolanum e a Mediolanum Vita. In totale fanno 134 milioni di proventi sottratti, sostiene l’accusa, alla tassazione negli anni 2005 e 2006. Il secondo siluro è arrivato un paio di mesi fa, a fine febbraio. Questa volta Banca Mediolanum si è vista contestare un imponibile supplementare di 121 milioni per il periodo che va dal 2006 al 2009. Che fare? Di fronte all’attacco del Fisco, Doris ha pensato bene di venire a patti.

In gergo tecnico si chiama “accertamento con adesione”. In pratica, pur di incassare in fretta, l’Agenzia delle entrate è disposta a fare uno sconto alla banca e l’accordo potrebbe essere siglato già nelle prossime settimane. Questo però è solo il primo round. Restano aperti gli altri procedimenti avviati nei confronti del gruppo e per Mediolanum, alla fine, il conto potrebbe rivelarsi pesante, con decine di milioni da versare pronta cassa allo Stato. Peggio ancora: il Fisco contesta altri 64 milioni di Iva non pagata su compensi ai promotori. Qui però i manager di Doris sembrano intenzionati a dare battaglia. “Ci siamo comportati secondo la prassi di mercato”, sostengono con il conforto di pareri legali e precedenti a loro favorevoli sulla stessa materia. Tant’è vero che nel bilancio 2010 non sono stati fatti accantonamenti per far fronte ad eventuali sanzioni.

A questo punto, però, il problema maggiore non sembra neppure la vertenza fiscale in sé. Del resto negli ultimi due anni l’Agenzia delle entrate è partita lancia in resta contro diversi istituti di credito per sanzionare operazioni finanziarie costruite apposta, questa è la contestazione, per pagare meno tasse. Sono finiti nel mirino, per esempio, alcuni pesi massimi del settore come Intesa e Unicredit, al centro di contenziosi per svariate centinaia di milioni. Mentre la Popolare di Milano ha preferito chiudere in gran fretta la questione sborsando quasi 140 milioni.

Per Mediolanum però la questione sembra diversa e per molti aspetti anche più preoccupante. Come il Fatto Quotidiano ha già raccontato (Leggi l’articolo) il gruppo guidato da Doris è una macchina che viaggia a tutta velocità grazie soprattutto alla benzina irlandese. Il bilancio del 2010 si è chiuso con 246 milioni di utili, in aumento del 15 per cento circa sull’anno precedente. Gran parte dei profitti vengono realizzati a Dublino proprio grazie al gioco di sponda delle commissioni. Lo stesso che adesso viene contestato dal Fisco.

Per dare un’idea delle cifre in gioco va segnalato che la controllata irlandese Mediolanum International Funds amministra oltre 17 miliardi di euro raccolti per lo più in Italia sotto forma di sottoscrizioni di fondi comuni d’investimento. Ebbene, questa società di Dublino ha realizzato la bellezza di 257 milioni di profitti lordi. Le imposte però, come risulta dal bilancio, non hanno superato i 32 milioni. Ovvero il 12 per cento circa degli utili. Tutto merito del generoso Fisco irlandese, che per attirare nuovi business da anni garantisce un trattamento di favore alle società straniere. E così, grazie al trasloco sotto il cielo d’Irlanda, la Mediolanum International Funds, vera macchina da soldi della galassia Doris, è riuscita a cavarsela pagando all’erario meno della metà di quanto dovrebbe versare se avesse sede nel nostro Paese.

Risultato finale: il tax rate dell’intero gruppo Mediolanum, cioè l’aliquota media di tassazione applicata, si aggira intorno al 18 per cento. Un dato di gran lunga inferiore rispetto ad altri grandi gruppi finanziari nostrani come Intesa, Unicredit e Monte dei Paschi. Domanda: che cosa succederebbe se alla fine dovesse prevalere la nuova linea interventista dell’Agenzia delle entrate? Quali sarebbero gli effetti sui conti del gruppo finanziario se il Fisco nostrano si mettesse di traverso sulla strada che va da Milano a Dublino?

Facile immaginare che i vertici di Mediolanum sarebbero costretti a rivedere lo schema operativo che fin qui ha garantito utili a palate. Non è detta l’ultima parola, ovviamente. I procedimenti aperti nei mesi scorsi potrebbero anche dar ragione alla “banca costruita intorno a te”, per citare lo slogan più celebre recitato per anni in tv da Doris. Un tipo ambizioso. Uno che solo pochi giorni fa nel sermone autocelebrativo recitato nell’annuale convention del gruppo si è detto convinto che Mediolanum conquisterà un posto tra le prime cinque banche nazionali. Fisco permettendo, naturalmente.

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