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LO SHOCK DEL CREDITO

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(WSI) –
Le Borse occidentali potrebbero rimanere sotto pressione nei prossimi mesi. Gli umori restano però discordanti: alcuni sperano nel classico rally di Natale, altri temono lo sbriciolarsi dei listini sotto la crisi dei mutui ipotecari.

Stando ai dati raccolti dalla Ubs, quello partito nel terzo trimestre 2002 è il secondo maggior rialzo di Wall Street, durato 60 mesi. Può dunque essere normale che dopo 5 anni di espansione, gli indici abbiano bisogno di una fase di storno e poi di consolidamento, prima di riprendere la corsa. Non vi sarebbe nulla di patologico. Gli analisti fanno notare che al mercato difettano oggi i compratori. Del resto le famiglie non hanno mai partecipato all’ascesa degli ultimi anni: basta guardare i flussi dei fondi comuni d’investimento per avere conferma. E se le famiglie erano «spaventate» durante il periodo d’oro 2003-6, non si vede come possano trovare coraggio adesso.

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Un driver del Toro è stata la mergermania. La corsa agli M&A e alle operazioni straordinarie è diventata la forza dominante del mercato. Poi, la bufera dei finanziamenti strutturati, e il conseguente giro di vite sul credito, hanno immobilizzato i protagonisti dell’ingegneria finanziaria, con la conseguenza di sottrarre preziosa liquidità alle piazze azionarie.
Sostiene Ed Yardeni, il celebre consulente di Yardeni Research: «L’andamento dei profitti che ha accompagnato il rialzo dal 2003 rimarrà sotto ipoteca per diverso tempo, riflettendo con ciò la cattiva performance dei finanziari. Poichè questi ultimi forniscono un quarto degli utili e un terzo dei dividendi di S&P500 le conseguenze sono inevitabili. Il settore va incontro a larghe rettifiche di bilancio per almeno un altro trimestre».

La debolezza della finanza si trasmette com’è ovvio ad altri comparti. John Chambers, numero uno della Cisco Systems, denuncia un significativo rallentamento nella domanda di tecnologia da parte degli istituti di credito e dei broker. La situazione delle banche rappresenta il germe che più preoccupa gli osservatori. Ian Scott della Lehman Brothers mostra che, se si escludono le società finanziarie, i listini europei sono a un tiro di schioppo dai top assoluti (grafico in pagina). Il Dax di Francoforte, dove le compagnie bancarie e assicurative costituiscono una modesta quota della capitalizzazione ha retto assai meglio di Milano o Parigi. In America, stesso discorso: i nomi della finanza guidano la classifica delle peggiori performance 2007. Eppure qualche tenue segnale d’incoraggiamento comincia ad emergere. Warren Buffett, il terzo uomo più ricco al mondo, ha acquistato azioni della Bank of America, della Us Bancorp (sesta banca Usa) e della Wells Fargo (secondo operatore di mutui sulla casa).

David Kotok, di Cumberland Advisors riferisce di aver comperato nei giorni scorsi banche e assicurazioni «perché a buon mercato». Inoltre, stando al sondaggio di novembre della Merrill Lynch, il 40% netto dei gestori europei sottopesa i bancari. In ottobre il numero era limitato al 6%, e ciò vuol dire che in poche settimane c’è stata una febbrile corsa alle vendite. Resta da capire se l’emorragia è al suo epilogo. Ian Scott di Lehman Brothers rimarca le quotazioni depresse dei finanziari europei: rende il 4,2% di dividendi contro una media del 3% degli ultimi 20 anni. «Per tornare alla media – spiega Scott – occorrerebbe una contrazione del dividendo del 30%, ma è accaduto solo una volta nel 1993, dopo la crisi del sistema valutario europeo, con tassi d’interesse molto più alti di quelli attuali, e tante banche che rischiavano di finire gambe all’aria». Altrettanto significativo, secondo Scott, è il fatto che il rapporto fra quotazioni e valore contabile (p/book) sia sceso a 1,6 volte, contro una media di 2 volte dal 1988 ad oggi. Il minimo fu toccato a 1,2 volte nei primi anni ’90, quando parecchi istituti scandinavi risultarono insolventi, il Roe delle banche era ben inferiore ai livelli correnti, e l’economia annaspava in recessione.

Insomma, i prezzi delle banche continentali potrebbero aver già scontato parecchio. E magari rivelarsi una ghiotta occasione d’acquisto, qualora subissero un’ulteriore flessione del 10-20 per cento. Una ipotesi niente affatto peregrina, giacché le Borse occidentali sembrano piuttosto affaticate e assai vulnerabili alle bordate dei venditori. Spiega Francesco Caruso, analista tecnico e vicedirettore di Gestione Lombarda: «Molti abbinano l’idea di mercato ribassista al tracollo del 2000-2002, ma è un’associazione fuorviante, perché i cali azionari hanno di solito contorni meno drammatici. Adesso siamo in un mercato ribassista – sottolinea – un mercato, cioè, nel quale la maggior parte dei titoli scende per la maggior parte del tempo. Guardi piazza Affari ad esempio, e si accorgerà come un gran numero di titoli accusa perdite ingenti e diffuse. In questo clima, chi vuole comprare lo deve fare sulle correzioni, e non sulle fughe in avanti.

Di parere simile è anche John Bollinger, un altro analista tecnico conosciuto dal grande pubblico: «Gli indici vano acquistati quando premono contro i limiti inferiori delle loro bande di oscillazione – suggerisce – Personalmente non sono troppo pessimista, perché con i tassi decennali al 4,2%, l’investimento azionario tornerà d’attualità tra non molto, è solo questione di tempo».

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