Economia

La Francia è a corto di burro per i suoi croissant

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Il Paese che più di tutti è consumatore di burro pro capite nel mondo rischia di finire gli ultimi panetti disponibili: sono questi gli sviluppi della “crisi del burro” in atto in Francia da alcuni mesi, nei quali il prezzo del popolare condimento è quasi triplicato a 7mila euro per tonnellata, dai 2500 del 2016.

I consumatori, come spesso capita in casi del genere, ne potrebbero pagare le conseguenze più di quanto non si possa immaginare, visto che le catene della grande distribuzione si stanno rifiutando di pagare il burro a questo prezzo, quello stabilito dal mercato. Risultato: le società stanno indirizzando la produzione fuori dai confini della Francia, lasciando la popolazione a corto dell’ingrediente fondamentale per i croissant e per tante altre ricette di una delle cucine più rinomate e apprezzate al mondo.

Molti francesi, perciò, hanno già messo nel congelatore più di una scorta di sicurezza.

“La questione è puramente francese e è legata al fatto che è in atto una guerra dei prezzi esplose tra i rivenditori francesi”, ha detto Thierry Roquefeuil, presidente della federazione dei produttori di latte FNPL, in un’intervista rilasciata a Bloomberg, “i retailer francesi si rifiutano di aumentare i prezzi, anche di pochi centesimi, per il burro. I produttori di latte vedono che c’è una domanda esterna a prezzi più elevati” e, dunque, la rincorrono. Un grosso problema per la produzione di salse e brioche tradizionali.

Il ministro dell’Agricoltura francese, Stephane Travert, ha assicurato in un discorso tenuto all’Assemblée nationale che un patto potrà essere presto trovato fra rivenditori e produttori di latticini.

A contribuire al rincaro del burro sono una serie di fattori economico commerciali legati alla domanda e all’offerta. Quest’ultima è scesa del 3% nel 2016 in seguito a un calo della produzione. La domanda contemporaneamente è aumentata, da un lato (ha ricordato la nostra Coldiretti) per la sostituzione dell’olio di palma con il burro da parte dell’industria dolciaria, dall’altro per la crescita della richiesta nei Paesi orientali, come la Cina, la seconda potenza economica al mondo.