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Italia, partiti euroscettici sono la maggioranza

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Gli ultimi sondaggi parlano chiaro: se le elezioni politiche fossero un voto pro o contro l’euro, il popolo italiano sarebbe schierato il 50% circa contro la moneta comune (risultato che si ottiene sommando i voti che andrebbero a M5S, Lega Nord e Forza Italia). L’indice di gradimento e i consensi per i partiti a favore dell’area euro e dell’Unione Europea sono infatti in calo. Non è un segreto che i partiti filo europei siano in crisi.

Alcune delle ultime rilevazioni (vedi tabella sotto) danno il MoVimento 5 Stelle addirittura sopra il 32%: il trend è chiaro e il movimento fondato da Beppe Grillo, che vorrebbe poter indire un referendum sulla moneta unica, si avvicina sempre di più alla soglia da raggiungere per ottenere un’ampia maggioranza alla Camera del 40% (almeno sulla base della legge elettorale in vigore). Una eventuale coalizione di euroscettici, invece, non solo raggiungerebbe la percentuale minima per avere il premio alla Camera (40%), ma potrebbe puntare addirittura al 50%. È fantapolitica, dal momento che il M5s non si alleerà mai con Forza Italia, pena un crollo della sua credibilità, ma un avvicinamento alla Lega Nord è possibile e in quel caso l’obiettivo del 40% sarebbe a portata di mano.

In quello che i commentatori politici definiscono un vero e proprio suicidio, il Partito Democratico si è scisso in due in vista del Congresso durante il quale si deciderà chi sarà il nuovo segretario, dopo che le strategie e la presunta deriva autoritaria di Matteo Renzi sono state messe in discussione dalla vecchia guardia e dall’ala di sinistra del partito. Nonostante la crisi dei , l’ex premier continua a chiedere le elezioni anticipate, come aveva promesso che avrebbe fatto in caso di sconfitta nel referendum sulla riforma costituzionale.

Per il Financial Times la posta in palio è più alta ora di quanto non lo fosse nel periodo di Mani Pulite del 1992. Ora “è più difficile trovare soluzioni”, secondo il quotidiano finanziario londinese, e il motivo è che “il contesto del Mediterraneo e dell’Ue in cui si trova l’Italia è radicalmente diverso”.

Italia: crisi politica ed economica come negli Anni 90

Alcune delle sfide attuali ricordano quelle dei primi Anni 90: il sistema dei partiti è frammentato e le élite al potere sono messe in discussione dalla popolazione. Allora a trarre vantaggio da tale “rivoluzione” fu Silvio Berlusconi, che salì al potere nel 19945 con il suo movimento appena nato Forza Italia.

In questi giorni quello che era il primo partito d’Italia e quello che governa ancora, il PD, è in crisi. Il primo partito all’Opposizione anti-establishment intanto guadagna terreno. Dal novembre del 2011, quattro primi ministri si sono succeduti a Palazzo Chigi non perché sono stati votati direttamente dal popolo, ma per via di emergenze in materia di finanza pubblica (Mario Monti), di lotte intestine al partito (Enrico Letta) o del fallimento della riforma costituzionale (Paolo Gentiloni).

A prevederlo è la costituzione e il parlamento è sempre rimasto quello eletto dai cittadini. Rimane il fatto che l’ultimo premier eletto è stato Pier Luigi Bersani del PD nel 2013, ma quest’ultimo non è riuscito a formare una coalizione di maggioranza per poter governare garantendo stabilità al paese.

A inguaiare ulteriormente il PD e Renzi sono anche le ultime vicende giudiziarie, che lo mettono in cattiva luce rispetto ai cittadini. Suo padre Tiziano e Luca Lotti, un suo alleato politico e attuale ministro dello Sport, sono stati accusati per il ruolo svolto nell’ambito dello scandalo sugli appalti Consip.

Anche l’economia in Italia ricorda da vicino quella del 1992: il Pil dovrebbe registrare l’espansione più timida di tutta l’area euro in un paese che ormai non cresce da vent’anni e che ha una montagna di debiti pubblici. Il debito è pari a più del 132% del Pil, la disoccupazione è quasi al 12% e il tasso dei giovani senza lavoro supera il 37%. Solo la Grecia fa peggio.

Di conseguenza, scrive il Financial Times, “un numero sempre maggiore di partiti politici mette in discussione i vantaggi dell’appartenenza all’Eurozona“. Prima dello scoppio della crisi del debito sovrano in Europa, i pro sembravano superare i contro per certi versi, ma le condizioni in deterioramento finanziarie ed economiche negli ultimi anni hanno evidenziato più gli svantaggi.

Un sondaggio pubblicato a dicembre da Eurobarometer la dice lunga sul grado di disapprovazione del popolo italiano verso l’euro: il 47% ha definito l’euro una “cosa negativa” per il paese mente soltanto il 41% la ritiene positiva. Questa è la grande differenza rispetto a 25 anni fa e persino Mario Monti, tra i grandi padri dell’Europa, si è accorto del disamore degli italiani per l’Europa unita. 

Finché il centro sinistra o forse anche il centro destra moderato governa, il disattaccamento all’Unione Europea e all’euro può essere contenuto, ma gli ultimi segnali dicono che il paese è più frammentato politicamente che mai. Se le fratture interne al PD e la voglia di Forza Italia e del centro destra in generale di salire al potere – alleandosi a un’altra formazione politica anti euro, la Lega Nord – prevarranno, l’euro sarebbe messo in discussione.