Società

Italia, lo smart working sta cambiando l’impresa

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A cura di Patrizio Bernardo*

Manca solo il suggello della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e, dal giorno successivo, entrerà in vigore anche nel nostro ordinamento la legge che disciplina il lavoro agile, noto anche come smart working.

Con i sette articoli del disegno di legge approvato dal Senato in via definitiva lo scorso 10 maggio si è finalmente dato un quadro giuridico di diritto positivo ad un istituto che nel nostro ordinamento aveva già trovato spazio – a legislazione previgente – sia nella contrattazione collettiva nazionale, sia – ed in particolare – all’interno della contrattazione collettiva aziendale per lo più di grandi aziende. 
Il nuovo quadro regolatorio (applicabile anche alle amministrazioni pubbliche) favorirà, auspicabilmente, un rinnovato interesse delle parti sociali, ma anche dei singoli lavoratori all’interno di intese individuali, a ritagliarsi nuovi spazi di negoziazione.

È bene chiarire subito che lo smart working non rappresenta una nuova tipologia contrattuale, ma una “modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato”, stabilita mediante accordo tra le parti (quindi sia a livello individuale che di contrattazione collettiva di qualsivoglia livello), in cui la prestazione è contraddistinta dalla esecuzione della stessa in parte all’interno di locali aziendali ed in parte all’esterno, senza una “postazione fissa” (si pensi al recente impetuoso sviluppo dei c.d. spazi di coworking, o alle ormai quasi illimitate possibilità e potenzialità del lavoro da “remoto”).

È necessario un accordo scritto “ai fini della regolarità amministrativa e della prova” che disciplini anche “le forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro e agli strumenti utilizzati dal lavoratore” e che individui “i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro.”

L’accordo sul lavoro prestato in modalità agile potrà essere a termine o a tempo indeterminato (in quest’ultimo caso il recesso può avvenire con un preavviso non inferiore a trenta giorni).

Viene garantito il diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello applicato ai lavoratori addetti alle stesse mansioni dello smart worker e che operano esclusivamente all’interno dell’azienda, così come è espressamente previsto che gli incentivi di carattere fiscale e contributivo riconosciuti in relazione ad incrementi di produttività ed efficienza sono applicabili anche quando l’attività lavorativa venga prestata in modalità agile.

Importante è la specifica disciplina riservata alla tutela della sicurezza sul lavoro. Da un lato si dispone l’obbligo per il datore di lavoro di garantire la tutela della salute e sicurezza del lavoratore agile e di consegnargli “a tal fine”, “con cadenza almeno annuale”, un’informativa scritta circa i rischi generali e specifici connessi alla particolare modalità di svolgimento della prestazione, dall’altro lato si sottolinea come anche lo stesso lavoratore sia tenuto a cooperare alla attuazione delle misure di prevenzione con riferimento ai rischi relativi all’esecuzione del lavoro al di fuori dei locali aziendali.

Viene, inoltre, considerato infortunio in itinere (e come tale sarà quindi indennizzato dall’INAIL) quello occorso nel tragitto dall’abitazione al luogo prescelto di esecuzione della prestazione, qualora la scelta di quest’ultimo sia dettata dalle “esigenze connesse alla prestazione stessa” o dalla “necessità del lavoratore di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative”, nonché quando la scelta risponda a “criteri di ragionevolezza”.

Obbiettivo dichiarato del legislatore è quello di “incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”.

Sarà ora ovviamente necessario che si sedimentino indirizzi interpretativi ed operativi che diano alla materia un perimetro di chiara agibilità (ad es. sulle modalità di applicazione delle disciplina dei controlli a distanza di cui allo Statuto dei Lavoratori, sulle condotte disciplinarmente rilevanti in relazione alla prestazione resa all’esterno dei locali aziendali, si pensi – ad es. – all’esigenza di non frustrare il diritto alla riservatezza del know-how aziendale, ecc., o ancora sul fondamentale diritto alla disconnessione per almeno 11 ore di riposo giornaliero minimo consecutivo, ecc.). Fin d’ora, peraltro, le esperienze applicative già in essere dimostrano, in un contesto di impresa e lavori che cambiano grazie all’impiego sempre più pervasivo della tecnologia, che lavorare in maniera agile ha effettivamente consentito: di aumentare la produttività, di ridurre i costi di gestione degli spazi immobiliari per le aziende, di ridurre l’impatto anche ambientale degli spostamenti casa-lavoro, di conciliare le esigenze personali e familiari con quelle lavorative in maniera più soddisfacente e meno onerosa.

E’ presto per dire se la novella legislativa darà o meno un decisivo impulso alla diffusione (per ora quantitativamente limitata) di queste modalità di lavoro. E’ indubbio che sarà importante verificare se si è segnato o meno un passo importante nella creazione di contesti operativi più “agili”, possibilmente caratterizzati da un miglior clima aziendale e da una maggior soddisfazione professionale a fronte di una più ampia autonomia nella gestione dei tempi e dei modi per il raggiungimento dei risultati cui la prestazione di lavoro è funzionalizzata. Il tutto, come si evocava, in una impresa che sta mutando radicalmente unitamente ai lavori che la caratterizzano.
* AVVOCATO, DELFINO E ASSOCIATI WILLKIE FARR & GALLAGHER LLP, STUDIO LEGALE