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Italia: ecco il rapporto classificato «Secret» a Obama dell’ambasciatore Usa a Roma

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NEW YORK (WSI) – «Purtroppo, il recente focus sull’austerity ha sottratto spazio alle riforme che potrebbero portare la crescita, e in realtà ha soppresso i consumi interni, aggravando perciò la recessione». E’ preoccupato, l’ambasciatore americano in Italia John Phillips, quando scrive questo giudizio al presidente Obama, e non lascia molti dubbi su quale sia la posizione degli Stati Uniti riguardo le politiche economiche europee: il rigore, imposto dalla Germania, sta soffocando la ripresa, e sarebbe ora di sostituirlo con iniziative capaci invece di favorire la crescita.

Il documento in cui Phillips esprime queste opinioni, che «La Stampa» ha ottenuto, è classificato «Secret». Porta la data del 21 febbraio 2014 e si intitola «Scenesetter for the President’s March 26-28 Visit to Rome». In sostanza è la relazione complessiva che l’ambasciatore invia al dipartimento di Stato, e quindi al capo della Casa Bianca con cui ha un ottimo rapporto personale, per preparare il suo viaggio in Italia e il primo incontro ufficiale con Matteo Renzi in veste di presidente del Consiglio.

I diplomatici americani avevano messo in guardia da tempo Washington sulla possibilità di un cambio a Palazzo Chigi. Si capisce, ad esempio, dal rapporto che avevano inviato a Foggy Bottom il 19 novembre del 2013, intitolandolo così: «Italy: Pdl Schism Rearranges Government Dynamics». Enrico Letta in quel momento è premier, e Renzi non è ancora segretario del Pd. Eppure i rappresentanti Usa a Roma hanno capito che qualcosa si sta muovendo. Due mesi dopo, infatti, Phillips prepara l’incontro di Obama a Roma con un nuovo capo del governo.

Il capitolo più urgente, e ancora attuale, è quello economico, che l’ambasciatore intitola «Trying to Turn a Corner». L’Italia sta cercando di voltare l’angolo, ma non ha ancora trovato la strada: «Dopo otto trimestri consecutivi di declino – la recessione continua più lunga dalla Seconda Guerra Mondiale – la crescita economica italiana si è appiattita nel terzo quarto del 2013. La risalita dagli otto punti persi durante questo periodo di due anni sarà lenta. La percentuale ufficiale di disoccupazione, 12,6%, probabilmente continuerà a crescere nel 2015, e potrebbe non recuperare i livelli pre-crisi per almeno un decennio.

All’inizio della sua amministrazione, l’ex premier Letta aveva sottolineato il crescente problema della disoccupazione giovanile, che ha raggiunto quasi il 42%. Il suo governo ha finanziato alcuni piccoli programmi di formazione e agevolazioni fiscali per l’assunzione dei giovani – finora con un minimo impatto misurabile – e ha sostenuto la discussione sul problema in sede europea e al G20. Le banche in Italia restano riluttanti a dare soldi, e la domanda di prestiti rimane bassa.

Eppure, il mercato dei titoli di Stato è migliorato in maniera netta, da quando la crisi finanziaria era cominciata nel 2011. Le rese dei bond stanno rispondendo bene al graduale “quantitative easing” della Federal reserve americana, e i mercati del debito sovrano italiano potrebbe diventare sempre più un paradiso sicuro, per gli investitori che vedono la volatilità nei mercati emergenti».

Il ragionamento di Phillips è chiaro: l’Italia avrebbe grandi potenzialità, ma non riesce a sfruttarle. Quindi spiega perché, e cosa si potrebbe fare per cambiare tendenza: «L’aumento delle tasse e la significativa riforma delle pensioni attuati dai governi precedenti hanno aiutato a mettere in ordine le finanze pubbliche italiane, risollevato la credibilità internazionale del Paese, e soddisfatto l’impegno con l’Europa a portare il bilancio in pareggio nel 2013».

Onore, quindi, ai governi Monti e Letta, perché dopo gli anni di Berlusconi hanno evitato la catastrofe, che rischiava di travolgere l’euro e riportare l’economia globale, Usa compresi, verso la recessione. «Il nuovo gabinetto – commenta Phillips – dovrebbe rimanere attento all’obbligo dell’Italia di ridurre il peso del suo debito ogni anno, a partire dal 2015, e potrebbe continuare la ricerca di nuove risorse praticata dagli esecutivi precedenti, attraverso un possibile nuovo round di privatizzazioni, un’ampia revisione della spesa pubblica, e altre fonti».

Detto questo, però, il problema adesso sarebbe soprattutto favorire la ripresa: «Purtroppo, il recente focus sull’austerity ha sottratto spazio alle riforme che potrebbero portare la crescita, e in realtà ha soppresso i consumi interni, aggravando perciò la recessione. L’incertezza politica ha anche frenato i progressi nella soluzione delle sfide di lungo termine sulla competitività dell’Italia. Non solo la costante minaccia del collasso ha distratto il governo Letta dalla sua agenda di riforme, ma gli interessi di parte hanno continuato ad arroccarsi contro i tentativi di rendere le rigide leggi del lavoro più flessibili, semplificare la complessa burocrazia, e riformare le corti, per abbassare la media di sette anni necessari alla soluzione della cause civili».

Questo è un punto che sta molto a cuore a Phillips. L’ambasciatore prima faceva l’avvocato, e sa quanti uomini d’affari americani vorrebbero investire in Italia. Però l’assenza di cambi strutturali, la lentezza e l’incertezza della giustizia civile, li bloccano. «Questa mancanza di riforme, combinata con le tasse, e i costi dell’energia che sono fra i più alti in Europa, frenano gli investitori, che non sono disposti a correre così tanti rischi. Di conseguenza, il potenziale livello di crescita dell’Italia rimane piatto nel lungo termine».

Tra i rimedi possibili, l’ambasciatore nota che Letta voleva far approvare il nuovo trattato per il commercio transatlantico TTIP durante il semestre italiano di presidenza della Ue, ora in corso, nonostante «secondo un sondaggio finanziato dal governo americano, solo l’11% degli italiani sa cosa sia. Roma generalmente non è stata leader nella definizione delle posizioni della Commissione Europea sul TTIP, e la sua priorità è ottenere una maggiore protezione degli indicatori di provenienza geografica dei prodotti. L’Italia riconosce anche che deve attirare addizionali investimenti stranieri diretti, per competere nel mondo globalizzato, ma i suoi sforzi passati sono rimasti al livello retorico, piuttosto che tangibile».

L’ambasciatore quindi conclude con l’invito ad Obama di finalizzare la partecipazione americana all’Expo di Milano, durante la sua visita, perché il governo Letta prevedeva che l’esposizione aumenterà il Pil italiano del 2%. Sono passati appena sei mesi da quel rapporto e la situazione non è cambiata. Questi sono i temi che, sul piano economico, potrebbero riemergere durante gli incontri che Renzi avrà con Obama domani al vertice Nato nel Galles, alla fine di settembre nel suo viaggio all’Onu, Detroit e California, e certamente nella visita alla Casa Bianca che dovrebbe avvenire in autunno.

Gli Usa considerano l’Italia un alleato importante, ad esempio per quanto può fare nella crisi ucraina o in Libia, ma anche preoccupante, se tornasse agli errori che lo avevano portato a minacciare la stessa sopravvivenza dell’euro, e quindi la stabilità economica globale. La speranza dunque è che Roma completi le riforme, necessarie a realizzare le sue enormi potenzialità.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da La Stampa – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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