Economia

Guerra dazi, un “errore di proporzioni gigantesche”

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Il segretario statunitense del Commercio Wilbur Ross sostiene che anche in guerra si scende a patti dopo aver fatto fuoco e che i dazi della Cina, ritorsione di quelli che promettono di imporre gli Stati Uniti, avrebbero un impatto negativo sul Pil americano minimo, di soltanto lo 0,3%. Larry Kudlow, il consigliere economico capo del presidente Usa, intanto ha sminuito i rischi di una guerra commerciale. Parlando ai giornalisti fuori dalla Casa Bianca Kudlow, che ha preso da poco il posto di Gary Cohn, ha detto che la disputa con la Cina potrebbe avere un lieto fine se costringe Pechino a stare alle regole.

Kudlow ha ricordato ai mercati una cosa che già si sapeva: nessun dazio contro i prodotti cinesi è stato ancora implementato. Per ora e per almeno altri due mesi si tratterà soltanto di proposte. I segnali di un avvicinamento tra Usa e Cina, che si dicono pronte a negoziare dopo le minacce di nuovi dazi commerciali, stanno favorendo i listini azionari quest’oggi, con la Borsa Usa che sta tentando di estendere i rialzi visti sul finale della seduta di ieri, con i titoli tecnologici, particolarmente presi di mira dai ribassisti negli ultimi tre mesi, che stanno scambiando in progresso. I titoli del gruppo FAANG (Facebook, Amazon, Alphabet e Netflix) sono in rialzo dell’1,1%-3,8%.

Craig Erlam, senior market analyst di Oanda, scrive in una nota che “i mercati azionari americani sono destinati ad aprire in progresso con gli investitori che stanno per il momento ignorando i timori di una guerra commerciale“. Il Dow Jones ha perso circa 500 punti mercoledì dopo che Donald Trump ha proposto di imporre dazi su prodotti cinesi per un valore pari a 50 miliardi di dollari, scatenando la ritorsione della Cina. Pechino ha promesso che avrebbe risposto con tariffe del 25% su beni Usa quali soia, auto, prodotti chimici e alcune tipologie di aerei.

Ma i commentatori di mercato e politologi insistono con il dire che sul piano politico l’errore commesso dall’amministrazione Usa in questo frangente è madornale. C’è un analista che parla di “impreparazione economica” da parte del presidente Usa e del suo entourage. Dopo mesi di minacce di guerra commerciale, a marzo Trump è passato all’azione con dazi del 25% sulle importazioni di alluminio e del 10% su quelle di acciaio.

Tuttavia, per quanto riguarda i dazi previsti sui prodotti che verranno importati quest’anno dalla Cina per una somma intorno ai 50 miliardi, bisognerà aspettare indicativamente fine maggio per vederli implementati. A essere interessati potrebbero essere fino a 1.300 prodotti cinesi, in settori quali aereospazio e IT.

Per giustificare le misure coercitive, Trump ha lasciato un commento su Twitter: “Non siamo impegnati in una guerra commerciale con la Cina. quella guerra l’abbiamo persa anni fa per colpa della gente incompetente e stupida che rappresentava gli Stati Uniti. Il risultato è che adesso abbiamo un deficit commerciale di $500 miliardi l’anno, con furti di proprietà intellettuale per altri $300 miliardi. Non possiamo consentire che questa situazione continui!”.

Non sono trascorse nemmeno 24 ore da queste dichiarazioni che il governo cinese ha preparato la sua rappresaglia. Pechino ha annunciato l’imposizione di dazi su 106 prodotti Usa, tra cui auto, whisky, aerei e soia, per un importo complessivo di 50 miliardi. Le notizie hanno messo sotto intensa pressione i listini azionari e gli asset più rischiosi.

In Asia, l’indice di Hong Kong Hang Seng ha perso il 2,7% ieri mentre l’indice della Borsa di Shanghai ha ceduto mezzo punto percentuale. L’indice della Borsa di Francoforte, il Dax che viene considerato un misuratore dell’andamento del commercio internazionale per via della presenza massiccia di titoli legati all’export, ha lasciato sul campo l’1,2%. L’indice paneuropeo Euro Stoxx 50 e il paniere inglese FTSE 100 hanno subito un calo dell’1% e dello 0,5%. Oggi è tornato il sereno con i mercati che sono riusciti a rimbalzare ancora una volta dalle perdite scatenate dalla paura di una guerra commerciale a tutto campo.

Rialzo più repentino dei tassi più pericoloso della guerra commerciale

Guerra a colpi di dazi che non pare convenire a nessuna delle parti in causa, a giudicare da economisti ed esperti vari. Le preoccupazioni di quello che un conflitto del genere potrebbe significare per l’economia si sono fatte sentire anche sui mercati delle materie prime e del petrolio, con i future su WTI e Brent che hanno accusato rispettivamente un ribasso dell’1,4% a 67,1 dollari al barile e dell’1,6% a $62,5 al barile.

Seema Shah, global investment strategist di Principal Global Investors, ritiene che la reazione dei mercati non sia stata completamente irrazionale, in quanto una guerra commerciale aggressiva avrebbe chiaramente un impatto negativo sulla crescita economica mondiale. “Gli investitori si rifugiano nei beni sicuri perché hanno paura delle conseguenze che avrà la diplomazia guerrigliera di Trump”. Una guerra commerciale, tuttavia, non sarebbe nell’interesse dell’amministrazione Trump, che fa affidamento sulla forza delle Borse.

“Trump ha più volte ripetuto che il rialzo del mercato azionario è la prova del fatto che la sua presidenza sta avendo successo”. La reazione negativa del mercato ai dazi vista negli ultimi tempi dovrebbe spingere la Casa Bianca a moderare il suo approccio.

Anche se la guerra commerciale viene considerato un evento importante, secondo Shah un possibile shock inflativo porterebbero a un incremento più improvviso del previsto dei tassi di interesse ed è questa che va considerata la minaccia principale per i mercati: “una politica aggressiva da parte della Federal Reserve costituisce un pericolo maggiore rispetto alla minaccia di una guerra commerciale”.

Guy Foster, head of research di Brewin Dolphin, sottolinea che il fatto che gli Usa abbiamo istituito una cronologia di sette settimane di negoziati nei loro piani commerciali è un fattore importante, da tenere a mente, perché significa che “prima del morso dei dazi ci saranno sette settimane di consultazioni” parlamentari.

“L’annuncio delle autorità cinesi di mercoledì è stato fatto per assicurarsi che le aziende del settore agricolo e aeronautico abbiano il maggiore tempo a disposizione per fare lobby” contro eventuali misure o per lo meno per un ridimensionamento del confronto. Nel frattempo il governo tenterà di seguire la via negoziale per trovare una “soluzione che sia benefica a entrambi i paesi” e che riduca il deficit commerciale delle due prime potenze economiche al mondo.

Per Jan Dehn, head of research at Ashmore Group, la guerra commerciale rappresenta un errore di proporzioni gigantesche”. Non solo così facendo l’amministrazione dimostra una “incompetenza economica” ma il risultato più probabile è quello di peggiorare la situazione commerciale degli Stati Uniti, rafforzando il dollaro. Con una moneta più forte e un’espansione finanziata dal debito come nel caso della maxi riforma fiscale, la produttività delle aziende farà maggiore fatica a competere.