Economia

Guerra dazi, 60 aziende Usa si ribellano contro Trump

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La battaglia delle grandi aziende americane contro le politiche di chiusura commerciale di Donald Trump si sposta dal dietro le quinte al grande palcoscenico, dal piano privato a quello pubblico. L’escalation della guerra a colpi di dazi condotta da Stati Uniti e Cina è arrivata a un punto che le imprese non si potevano immaginare e adesso una coalizione di oltre 60 società ha deciso di passare dalle parole ai fatti.

La nascita del gruppo (Americans for Free Trade, ossia americani a favore del libero scambio) è motivata dall’impatto negativo dei dazi e dalla facilità disarmante con cui Trump ha imposto negli ultimi tempi dei dazi anche pesanti contro i partner commerciali degli Stati Uniti. Migliaia di dollari di prodotti sono stati interessati dalle tariffe punitive, una misura che Trump usa come minaccia per ottenere concessioni da paesi che secondo il presidente commettono pratiche commerciali sleali.

Trump è anche convinto che imponendo i dazi alle importazioni, le aziende saranno spinte a esporsi meno ai mercati stranieri e finiranno per creare nuovi posti di lavoro per gli americani. “Molti gruppi non avrebbero mai pensato di avere a tanto, ma gli effetti dei dazi hanno convinto tutti a dire: ora basta!”, racconta Nicole Vasilaros, lobbista dell’associazione dei gruppi manifatturieri nazionali nel campo navale, la National Marine Manufacturers Association (NMMA).

Dopo aver visto i costi per le importazioni salire di fino al 35% i gruppi del settore stanno passando al vaglio l’ipotesi di tagliare migliaia di posti di lavoro. Trump ha imposto per ora dazi del 25% su alcuni beni importati dalla Cina, tra cui macchinari industriali ed apparecchiature elettroniche, come semiconduttori.

Ma ben presto a essere colpiti dai dazi potrebbero essere altri prodotti Made in China per 200 miliardi complessivi, o forse anche fino a 467 miliardi di dollari in totale se le minacce di Trump dovessero concretizzarsi sul serio. La guerra fredda commerciale tra le due prime economie al mondo sta impazientendo non solo le grandi corporation americane, ma anche i mercati finanziari.

Le nuove invettive reciproche tra Washington e Pechino, che ha chiesto all’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) di poter imporre sanzioni contro gli Usa, hanno innervosito gli investitori negli ultimi tempi. I mercati azionari, specie in Asia, accusano il colpo anche oggi.

Le Borse dell’area hanno allungato la striscia negativa di sedute consecutive a 10: ora è la più lunga da settembre 2000 eguagliando il record negativo del 2002. A Wall Street l’avvio di seduta è contrastato, con il Nasdaq che al momento viaggia in calo di quasi lo 0,7%. Il Dow Jones è in marginale rialzo, mentre l’indice S&P 500 subisce una flessione dello 0,13%.

 

Sul Forex pesanti le valute emergenti, con la rupia indiana ai minimi. L’indice MSCI della Regione Asia-Pacifico è scivolato ai minimi di 14 mesi. Shanghai, Hong Kong e Tokyo hanno tutte chiuso in ribasso con l’azionario dei mercati emergenti che scambia ai nuovi minimi di 15 mesi. L’indice MSCI delle Borse mondiali scambia in lieve progresso.

Il mercato ha bisogno di ricevere un segnale di allentamento della retorica nella guerra dei dazi”, secondo Salman Ahmed, chief investment strategist presso Lombard Odier. Siccome i fondamentali economici sono buoni, questo dovrebbe bastare. Ma serve un cambio di rotta che finora non si è visto”.