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Gli intoccabili: ecco chi non paga mai. La manovra del governo salva solo i privilegiati

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(WSI) – La manovra è servita: ci sono quelli che pagano, quelli che protestano, quelli che potrebbero caricarsi il peso dei sacrifici ma non lo faranno. Salvo colpi di scena. Di sicuro non sfuggiranno gli statali, che dovranno «resistere» qualche mese in più prima di andare in pensione e accettare una liquidazione a rate. Quelli che restano nei loro uffici avranno la vita più difficile visto che le assunzioni sono bloccate.

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Ci sono poi quelli che non pagano. Innanzitutto le banche. Tassate in mezzo mondo ma non in Italia. Poi i politici. «Daremo il buon esempio», hanno detto deputati, senatori e ministri. Per alcune settimane non si è parlato d’altro: la norma, inserita nella bozza della manovra, prevedeva di ridurre del dieci per cento la parte di stipendio dei parlamentari sopra gli ottanta mila euro. Ma è stata depennata. Del resto Camera e Senato dispongono dell’autonomia di bilancio. Dovranno decidere loro se e quanto tagliare gli stipendi.

Eppure nella manovra del governo un articolo intitolato «Riduzione dei costi degli apparati politici» c’è, come anche il tanto discusso taglio del dieci per cento. Ma riguarda soltanto gli esponenti di governo «che non sono membri del Parlamento nazionale». Meglio di niente, si penserà. Il punto è che ministri e sottosegretari che non sono stati eletti sono dieci. Bello sforzo. Non resta che sperare che i presidenti Fini e Schifani prendano in mano le forbici nei prossimi giorni. Poi ci sono i magistrati. Quelli in servizio da tempo guadagnano tanto ma non vogliono riduzioni e sbraitano contro il governo. Inoltre c’è la questione delle toghe più giovani che rischiano di pagare il conto più salato. Non solo: protestano i medici e i farmacisti. Se a questo si aggiunge che le Regioni, a cui hanno tagliato i trasferimenti, non si risparmiano leggine per promuovere i dipendenti, allora il quadro è completo. Piove sempre sul bagnato.

POLITICI: invocano tagli ma solo sulla carta – In principio, quando ancora si stava lavorando alla manovra anticrisi, sembrava di assistere ad una gara a chi la sparava più grossa: i politici erano tutti in prima linea, ben disposti a mettere le mani nel portafogli. Nel loro, per una volta. Ad aprire le danze Roberto Calderoli: «Proporrò in sede di governo, quando affronteremo la manovra finanziaria, un taglio almeno del 5 per cento agli stipendi dei ministri e dei parlamentari come hanno fatto in Inghilterra e Portogallo», aveva detto il ministro della Semplificazione legislativa. «I tagli alle spese comporteranno sacrifici per tutti, i politici devono dare il buon esempio», aveva aggiunto.

Giulio Tremonti, che l’entità di quei sacrifici la conosceva, aveva replicato a suo modo: «Il 5 per cento? Mi viene da sorridere. Per me è solo un aperitivo». Giù allora con la corsa al rilancio. Gli italiani non credevano alle loro orecchie. «Via il 10 per cento degli stipendi», proponeva Daniela Santanchè, sottosegretario all’Attuazione del programma di governo. «Ho intenzione di proporre ai capigruppo e al consiglio dei ministri di devolvere un mese di stipendio della politica in caso di ulteriori sacrifici richiesti ai cittadini», rilanciava Ignazio La Russa, ministro della Difesa. Applausi. «Due mensilità», superava Maurizio Gasparri, capogruppo Pdl alla Camera. Tutti in piedi. «Tre mensilità e non per demagogia» strillava Gianfranco Rotondi, ministro per l’Attuazione del programma. Standing ovation.

Nel frattempo cominciava a circolare una bozza provvisoria della manovra. Le prime indiscrezioni facevano ben sperare: tagli a tutti gli organi costituzionali compreso il Quirinale. Ridotte del dieci per cento le indennità di deputati e senatori, azzerate quelle per le commissioni ministeriali. Scure su consulenze, auto blu, cocktail e ricevimenti. Sembrava quasi che il monito di Napolitano, che aveva predicato sacrifici distribuiti con equità tra tutti i cittadini – nessuno escluso -, fosse stato rispettato. E invece no.

Quando la manovra viene presentata, si scopre che a pagarla saranno i cittadini, gli statali, i pensionati, i turisti. La norma, inserita nella bozza della manovra, che prevedeva di ridurre del dieci per cento la parte di stipendio dei parlamentari sopra gli ottanta mila euro è stata depennata. Camera e Senato dispongono, infatti, dell’autonomia di bilancio. Dovranno decidere loro se e quanto tagliare agli stipendi dei loro membri. Il provvedimento non può essere contenuto nel decreto legge del governo sulla manovra.

In realtà, un articolo intitolato «Riduzione dei costi degli apparati politici» esiste. È il numero quattro. Esiste pure il tanto discusso taglio del dieci per cento: avranno stipendi più bassi gli esponenti di governo «che non sono membri del Parlamento nazionale». A conti fatti, sono dieci persone: Gianni Letta, Guido Bertolaso, Giancarlo Galan, Ferruccio Fazio, Bartolomeo Giachino, Giuseppe Pizza, Francesco Belsito, Enzo Scotti, Giuseppe Reina e Daniela Santanché, che è l’unica ad essere stata accontentata.

BANCHE: Non ne vogliono sapere di ridurre i costi – A fare da apripista è stato il presidente americano Barack Obama che come misura anticrisi ha messo a punto una tassa sulle banche tale da ricavare fino a 120 miliardi di dollari. L’obiettivo è recuperare le somme sborsate dal governo per affrontare la crisi e ridurre il deficit. L’operazione americana però ha avuto scarso seguito in Europa. Al momento ci sono solo delle dichiarazioni di intenti da parte di Francia e Germania ma nulla di più. La riunione di martedì dell’Ecofin dovrebbe affrontare il tema ma nella prospettiva di creare con il gettito dell’imposta un fondo per finanziare i possibili salvataggi futuridi banche in difficoltà.

E in Italia? Nella manovra economica di Tremonti non c’è traccia di interventi sulle banche. Gli istituti fanno parte di quella categoria di intoccabili che vengono puntualmente risparmiati dalle operazioni contro la crisi. Eppure le commissioni bancarie non conoscono crisi.

Lo stesso Governatore di Bankitalia Mario Draghi è più volte intervenuto sui costi delle attività degli istituti. Da una relazione della Commissione europea su questo tema emerge che l’Italia è tra i paesi i cui cittadini spendono di più per la gestione dei conti correnti e, assieme ad Austria, Francia e Spagna, presenta risultati insoddisfacenti in materia di trasparenza. Tra i problemi specifici vi sono le informazioni che in molti casi sono di difficile comprensione, costi bancari opachi, problemi con la consulenza e un livello piuttosto basso di cambio di banche.

Secondo le rilevazioni della Federconsumatori nelle banche vengono ancora praticati tassi e condizioni fuori della media europea, con i mutui che costano interessi più elevati dello 0,59% della media Ue e del 2,16% in più sui prestiti personali, che costringono i cittadini italiani a sborsare ben 361 euro in più l’anno per un mutuo di 100.000 euro, con una maggiorazione di 10.830 euro a fine mutuo vero handicap competitivo rispetto ai cittadini d’Europa. Inoltre i prestiti personali hanno un costo superiore del 2,16% che comporta un maggiore esborso di 368,40 euro l’anno.

Ci sono costi che vengono applicati ai correntisti più sprovveduti come l’invio di estratti conti cartacei o dell’informativa riguardante il cambiamento del tasso applicato; la media è di 2-3 euro a invio. Altra spesa è quella per la chiusura di un conto. La banca chiede praticamente sempre di pagare qualcosa se negli anni precedenti si è andati in rosso, oppure non si sono rispettati i tempi per il rientro di un prestito o di un finanziamento ipotecario. C’è il rischio che con una chiusura che sfori temporalmente il trimestre ci sia l’obbligo di pagare interessi e spese trimestrali. C’è poi la spesa per versare assegni, operazione che riesce a costare oltre 10 euro anche da una banca italiana verso un’altra banca italiana. Un onere è la gestione dei risparmi.

MEDICI: parcelle d’oro ma scendono in piazza – Si dividono tra l’attività ospedaliera e quella professionale privata e nelle cliniche. Molti di loro hanno parcelle d’oro eppure quando vengono chiamati a contribuire alla manovra anticrisi si tirano indietro, fanno le barricate, proclamano lo sciopero e sono pronti a bloccare le attività nelle Asl e negli ospedali. I sindacati dei medici del servizio pubblico incroceranno le braccia per due giorni il 12 e il 19 luglio contro le misure prese con la manovra.

Sostengono che il blocco del turnover determinerà una carenza di circa 20.000 medici e dirigenti sanitari necessari al funzionamento degli Ospedali e dei Servizi Territoriali; il licenziamento dei precari che da anni vicariano le mancate assunzioni soprattutto nei settori legati all’emergenza e alla prevenzione; il taglio di 10 miliardi delle risorse alle Regioni con inevitabili ricadute sul settore socio sanitario che rappresenta il 70% del loro bilancio. La protesta è stata decisa nonostante il voto contrario della Cisl e Uil Medici. Sostenuto quindi dalla sola Cgil ha il carattere di una mobilitazione politica.

Secondo i sndacati la manovra sottrae risorse indispensabili al funzionamento del sistema sanitario ed al mantenimento dei livelli essenziali di assistenza. Il rischio, dicono in coro i medici, è quello che la manovra taglia le prestazioni mediche ai cittadini del 10% con il rischio di un notevole allungamento delle liste di attesa. Il segretario dei medici della Cgil, Massimo Cozza, sottolinea in questo senso che anche l’assistenza territoriale viene penalizzata e che le regioni saranno costretto a tagliare le prestazioni sociali e sanitarie a partire dall’assistenza domiciliare e quella per i non autosufficienti. Fra gli altri effetti anche quelli segnalati gli anestesisti, convinti che saranno «fortemente a rischio una parte dei 50.000 interventi chirurgici che quotidianamente vengono effettuati negli ospedali italiani».

C’è poi il fenomeno degli sprechi che nessun governo è finora riuscito a debellare. Un esempio? Un defibrillatore a Trento costa 13.500 euro e pochi chilometri dopo, a Bolzano, per lo stesso strumento sanitario bisogna pagare 16.100 euro. Non tutte le Asl regionali rendicontano gli acquisti sanitari anche se a chiederli è direttamente il ministro della Salute. Uno dei casi più eclatanti sembrerebbe quello della Regione Sicilia che, pare non abbia mai inviato alle direzioni ministeriali i dati relativi agli acquisti sostenuti dalle proprie Asl.

Altra situazione è quella del mercato delle attrezzature sanitarie. Produce un fatturato da sette miliardi l’anno. Ogni anno, spiega Andrea Messori, vicepresidente della Società italiana di farmacia ospedaliera (Sifo), in ciascun ospedale si spendono in media 110 milioni per l’acquisto di dispositivi medici soprattutto per la cardiologia interventistica, contro 90 milioni per i farmaci. Mentre per i farmaci c’è una governance, l’Aifa (agenzia italiana sui farmaci), un organo di controllo simile manca per i dispositivi. Col risultato che in questo settore il prezzo è libero con gare che si svolgono ospedale per ospedale, con un’eterogenità di prezzi enorme che possono raddoppiare o triplicare da zona a zona dell’Italia.

MAGISTRATI: scioperano con il portafoglio pieno – Nel 2008 l’Istat fece una mappa delle retribuzioni medie in Italia. I meno pagati erano i lavoratori della pulizie (15.877 euro lordi l’anno), mentre la categoria con il portafoglio più pesante (oltre 110.000 euro lordi l’anno) era quella dei magistrati. Nello stesso anno Umberto Bossi propose di tagliare gli stipendi a politici e toghe. Il segretario dell’Anm Luca Palamara commentò secco: «Prima portiamo gli stipendi a livello dei parlamentari e poi preoccupiamoci di tagliarli».

Va sempre così. Chi tocca le tasche dei magistrati «muore». E poco importano le statistiche dell’Istat. Appena qualcuno ci prova si becca, come minimo, una bella protesta. È successo anche stavolta. Ieri l’Associazione nazionale magistrati ha infatti proclamato uno sciopero per il primo luglio mentre ha fatto sapere che, dal 21 al 25 giugno, saranno organizzate «una o più giornate di sospensione dell’attività di supplenza». L’obiettivo, ovviamente, sono i tagli messi a punto dal governo.

Secondo le toghe, infatti, la manovra economica, «colpisce in maniera iniqua, indiscriminata e casuale. Ad esempio, un pubblico dipendente (magistrato o altro funzionario) con uno stipendio lordo di 150.000 euro subirà un taglio di stipendio di 3.000 euro lordi l’anno (cioè il 2% dello stipendio), mentre un magistrato di prima nomina con uno stipendio lordo di circa 40.000 euro subirà tagli complessivi per circa 10.000 euro lordi l’anno (circa il 25% dello stipendio)».

Insomma, i magistrati «ricchi» protestano per difendere quelli «poveri». Peccato che sul problema sia già intervenuto il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha fatto sapere che si batterà al fianco delle giovani toghe cui «è stato chiesto un sacrificio di gran lunga più elevato rispetto ai colleghi anziani».

Colleghi anziani che, tra l’altro, non hanno alcuna intenzione di sacrificarsi maggiormente. Al punto che, mentre invitano il governo a intervenire altrove (soppressione dei piccoli tribunali e delle sezioni distaccate di tribunali; recupero delle pene pecuniarie e delle spese di giustizia; sospensione dei processi con imputati irreperibili), fanno candidamente sapere che gli effetti degli interventi previsti sono già visibili.

Quali sono? «La manovra – spiega il comunicato – sta già provocando un massiccio “esodo” di magistrati, gravemente penalizzati dalle misure concernenti il trattamento di fine rapporto, con conseguente grave scopertura degli organici già in sofferenza». Che tradotto vuol dire che un bel numero di magistrati, pur di non perdere i propri privilegi, sta anticipando la pensione.

È sempre la solita storia: i sacrifici devono farli tutti, ma è meglio se iniziano gli altri. Tant’è che il Guardasigilli prova a lanciare un appello disperato: «I magistrati sono un pezzo del Paese. All’Italia in questo momento viene chiesto un sacrificio per il bene di tutti. I giudici non dovrebbero sottrarsi a questo sacrificio».

E mentre Pd e Idv si schierano compatti al fianco della toghe, l’Udc trova lo sciopero del primo di luglio assolutamente incomprensibile. « In una fase di crisi in cui a tutti, compresi i politici, è chiesto un sacrificio economico – commenta il segretario centrista Lorenzo Cesa -, stupisce la decisione dei magistrati di indire uno sciopero contro i tagli al loro stipendio». E pensare che Petronio diceva che «dove comanda il denaro, le leggi non valgono niente».

ARTICOLO DI: Alberto Di Majo, Nicola Imberti, Nadia Pietrafitta, Laura Della Pasqua

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