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Generale Haftar: “in Libia l’Italia va oltre pura missione medica di pace”

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“Consiglierei ai Paesi stranieri e al vostro di non interferire nei nostri affari interni. Lasciate che siano i libici a occuparsi della Libia”. Parla così, in un’intervista rilasciata a Lorenzo Cremonesi, inviato a Bengasi per Il Corriere della Sera, ha detto il generale Khalifa Haftar, noto per essere “l’uomo forte di Bengasi”. Nel corso dell’intervista Haftar ha affrontato diverse questioni, tra cui i suoi rapporti con Mosca, la guerra contro l’Isis e le relazioni diplomatiche, anche, dell’Italia.

“Gli italiani da noi sono sempre benvenuti. Peccato che alcuni abbiano scelto di stare con i nostri nemici”.

Così Haftar:

“Noi ci aspettiamo aiuti da tutti per combattere l’Isis. Saremmo ben contenti di cooperare con la Gran Bretagna, la Francia o la Germania. Italia compresa, purtroppo sino a ora il governo di Roma ha scelto di aiutare soltanto l’altra parte della Libia. Avete mandato 250 uomini tra soldati e personale medico per gestire l’ospedale di Misurata. A noi nulla. Negli ultimi giorni ci era stato promesso l’invio di due aerei per trasportare negli ospedali italiani alcuni dei nostri feriti gravi. Ma sino a ora non sono arrivati, forse per il brutto tempo. Ci saremmo aspettati maggior cooperazione. Non abbiamo apprezzato il discorso di fine d’anno del vostro capo di Stato maggiore in visita a Misurata”, che “ha detto che l’Italia sostiene le milizie di Misurata, cosa che va oltre una pura missione medica di pace“.

Da segnalare che il generale è un ex fedelissimo di Gheddafi, fuggito poi in Usa, al momento uomo più importante della Cirenaica, che sta beneficiando nelle sue operazioni militari del sostegno sempre più forte della Russia, oltre che dell’Egitto.

Negli anni ’80, Gheddafi lo pose al comando delle forze libiche nel conflitto in Ciad, dove tuttavia venne sconfitto dalle forze del Ciad sostenute dalla Francia. L’epilogo per l’attuale federmaresciallo fu la cattura, insieme ad altri 300 suoi uomini, nel 1987. Venne ripudiato da Gheddafi, per aver negato la presenza delle truppe libiche nel paese. Di conseguenza, da ex fedelissimo, nel ventennio successivo il generale cercò di rovesciare il regime di Gheddafi, da esiliato in Virginia, Usa. Haftar fece poi ritorno in Libia nel 2011, come comandante dei ribelli nell’est del paese.

Sui suoi rapporti con la Russia, nell’intervista al Corriere, il generale ha sottolineato:

“La Libia ha una lunga storia di ottime relazioni con la Russia. Io mi sono recato a Mosca anche perché volevo rimettere in vita alcuni contratti interrotti nel 2011. Ho molto apprezzato la politica di Putin e i suoi sforzi nella lotta contro il terrorismo in Medio Oriente (..) Mosca fa parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che ha votato l’embargo militare nei nostri confronti. Si muove in modo serio, rispettando le convenzioni internazionali. Ci è stato detto che le armi possono arrivare solo dopo la fine dell’embargo e Putin si impegna per cancellarlo”.

Riguardo ai rapporti con l’Italia, così il generale:

“Conosco le tematiche del vostro ospedale. Il numero due della vostra intelligence è un mio caro amico, viene spesso a trovarmi e ne abbiamo parlato più volte. Però – e qui arriva il vivo ‘consiglio’ rivolto anche a Roma – consiglierei ai Paesi stranieri e al vostro di non interferire nei nostri affari interni. Lasciate che siano i libici a occuparsi della Libia”.

Alla domanda sui rapporti con il capo del governo di accordo nazionale Fayez al Sarraj, che vorrebbe incontrarlo, Haftar ha negato le indiscrezioni della stampa algerina, secondo cui l’incontro sarebbe prossimo:

“No. Non so niente di questo. Personalmente non ho nulla contro Sarraj. L’ultima volta ci siamo parlati direttamente il 16 gennaio 2016. Il problema non è lui, bensì le persone che gli stanno attorno. Se intende davvero lottare per pacificare il Paese, impugni il fucile e si unisca ai nostri ranghi. Sarà sempre benvenuto”.

Intanto è di oggi la notizia dell’uccisione, proprio da parte delle forze libiche del generale Haftar, di tre persone che farebbero parte tutte della stessa famiglia, nel corso di un bombardamento aereo compiuto dall’aviazione sul quartiere Ganfuda di Bengasi, nell’Est della Libia. Quattro feriti, di cui tre bambini.

Così scriveva l’Agenzia Nova qualche ora fa:

“Da settimane le forze di Haftar, il generale libico “rinnegato” che controlla i terminal di greggio nella strategica area della Mezzaluna petrolifera, stringono d’assedio i loro nemici a Ganfouda, quartiere sud-occidentale di Bengasi. Nelle scorse settimane una tregua per consentire lo sgombero dei civili assediati ha portato appena quattro famiglie libiche a lasciare il quartiere. Da mesi ormai le forze dell’autoproclamato Esercito nazionale libico sono impegnate contro milizie islamiste considerate vicine ad al Qaeda e allo Stato islamico, presenti nelle aree periferiche della città. Particolarmente attivo è il gruppo Consiglio rivoluzionario della Shura di Bengasi (Brsc), gruppo armato islamista libico vicino ad al Qaeda, ma che ha collaborato in passato anche con il sedicente “califfato” per compiere attentati. Un’autobomba esplosa a novembre vicino all’ospedale della città aveva provocato la morte di sei persone, incluse due donne e due bambini.