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Dove va a finire tutto l’oro delle banche centrali?

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New York – Ventitré milioni di tonnellate pari a 1,3 trilioni di dollari. A tanto ammonta la quantità di oro complessiva presente in teoria nei forzieri delle banche centrali di Stati Uniti, Gran Bretagna, Giappone, Svizzera, Eurozona e Fmi. Ma oltre a questo dato, ben poco si sa a proposito di questa montagna di oro.

Dopo un periodo di relativo disinteresse nei confronti del metallo prezioso, dal 2009, ovvero da quando le quotazioni hanno sfondato i mille dollari per oncia, le banche centrali sono diventate acquirenti netti. E da allora non hanno più smesso di fare incetta del metallo giallo. A fare la parte del leone sono state Russia, Turchia, Kazakhstan, Ucraina e le Filippine.

Si pensi che negli ultimi dodici anni, la domanda di oro annuale si è attestata ad una media annua di 2.268 tonnellate. Una richiesta che, a stento, viene coperta dall’offerta. E come avviene anche nei mercati finanziari, se c’e’ chi compra, ci deve per forza essere qualcuno che vende.

Secondo le stime di CMP Group, uno degli istituti più accreditati nelle statistiche sul mercato dell’oro, quest’anno l’offerta di oro si attesterà intorno alle 3.700 tonnellate, di cui 2,687 tonnellate provenienti da attività di estrazione e il resto dal “riciclo” (soprattutto vecchia gioielleria).

L’analisi sui depositi di lingotti delle banche centrali ci mostra che queste hanno offerto grandi quantita’ di oro, senza doverlo pero’ comunicare in via formale. Le banche del mondo occidentale, infatti, quando eseguono transazioni reversibili delle loro riserve di lingotti, non sono tenute a comunicare le somme precise di oro che se ne va e che rimane nelle loro casseforti.

Le transazioni non hanno dunque un effetto concreto sui depositi in oro che le banche centrali devono comunicare di avere, indipendentemente dal tipo di operazione effettuata (contratti swap, pronti contro termine, prestiti, depositi). Ne consegue che un’ingente fetta delle 23 mila tonnellate di riserve di oro delle banche centrali non e’ altro che una voce nel documento di bilancio assolutamente non supportata da prove tangibili.

Visti i tanti prestiti concessi alle controparti che fanno affari con loro, non e’ da folli sostenere che le banche centrali non saranno mai in grado di riavere l’oro indietro, almeno non fisicamente, in particolare se si dovesse venire a scoprire che l’oro ha lasciato, non solo la banca centrale, ma anche la nazione da cui proveniva.

E chissa’ quanto oro e’ stato “reipotecato” nel processo dal sistema degli istituti centrali, dal momento che le banche sono cosi’ riluttati a divulgare i dettagli piu’ importanti sulle loro riserve, rifiutandosi di fatto di fare luce sui tanti accordi di “swap” e di prestito a cui partecipano.

Se fosse condotta un’indagine seria delle riserve reali di oro delle banche centrali occidentali, come ha proposto di fare con la Federal Reserve il deputato del partito libertariano ed ex candidato alle primarie Repubblicane Ron Paul, sarebbero rivelati gli altarini, che avrebbero un impatto espolosivo sui prezzi del metallo prezioso.

Per contattare gli autori Twitter: @neroarcobaleno; daniele@wallstreetitalia; mariangela@wallstreetitalia