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Debito sfonda 2 mila miliardi, con tecnici è aumentato

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Roma – Ad ottobre il debito pubblico italiano ha superato la soglia dei 2.000 miliardi attestandosi a 2.014 miliardi, in valore assoluto è il livello più alto mai registrato. Lo ha comunicato la Banca d’Italia. Secondo le stime per fine 2013, il rapporto tra debito e Pil raggiungera’ il picco record del 126,4%.

Quanto alle entrate tributarie dei primi 10 mesi dell’anno, hanno segnato un incremento del 2,9% rispetto allo stesso periodo del 2011.

E’ quanto emerge dai dati del gettito fiscale, al netto dei fondi speciali della riscossione, riportati dal supplemento ”Finanza Pubblica” al bollettino statistico della Banca d’Italia.

Secondo i dati resi noti oggi dalla Banca d’Italia, il debito pubblico italiano ha sfondato nel mese di ottobre quota 2.000 miliardi: in pratica è come se ogni famiglia italiana avesse in media un debito di 82.192 euro, considerando il numero medio di componenti di 2,4 persone dell’ultimo censimento Istat. A calcolarlo è il Codacons sottolineando che “la cosa più grave è che da quando è diventato operativo il Governo Monti, ossia dal dicembre 2011 (scorporando cioè novembre, visto che il Governo ha giurato il 16), il debito è passato da 1.906.737 a 2.014.693 milioni di euro, ossia è aumentato di 107.956 milioni di euro in appena 10 mesi, pari ad una media di 4.404 euro a famiglia”.

Non si può certo dire, insomma, che “le stangate che si sono succedute a partire dal dicembre 2011 con il dl Salva Italia abbiano modificato la curva del debito. Come dimostrato dal fatto che rispetto a settembre 2012 il debito è aumentato, in un solo mese, di 19.550 milioni di euro, pari a 797 euro a famiglia (sempre da 2,4 componenti)”.

Ecco perchè, secondo l’Associazione dei consumatori “il Governo Monti farebbe bene a considerare che il debito non si combatte solo a suon di tasse, ma anche attraverso un aumento del gettito dovuto ad una maggiore ricchezza prodotta. Per non parlare della riduzione degli sprechi, sulla quale, come dimostra la mancata abolizione delle province inutili, si doveva e poteva fare molto di più”.

La coincidenza è eloquente, scrivono Luca Trogni e Stefano Bernabei in un’analisi per Reuters Italia. “Se si è giunti a tanto lo si deve anche all’instabilità politica che ha accompagnato la vita della Repubblica italiana. Negli anni Settanta e Ottanta, in cui il debito si è consolidato su alti livelli con relativo balzo della spesa per interessi, è stata tale che neppure una legislatura, seppur attraversata da più governi, è giunta al termine dei cinque anni”.

“Il succedersi di oltre 60 governi nei 66 anni di vita della Repubblica ha comportato, il più delle volte, mancanza di programmazione e poco tempo per dare respiro alla politica economica e industriale. Al massimo, nei momenti di crisi acuta, è stato dato spazio a misure di emergenza“.

“Ultimo e acuto esempio, l’esperienza del governo Monti. I provvedimenti di emergenza, strutturali e non, non sono mancati né dal lato del contenimento dei costi né, soprattutto, da quello delle entrate. Un pacchetto di misure che ha avuto effetti visibili sul rapporto deficit/Pil anche se, a due settimane dalla fine del 2012, non si è ancora sicuri se si collocherà sotto la soglia di 3%. Non ci sono dubbi invece sul fatto che il rapporto debito/Pil balzerà oltre 126% (un rialzo che si riduce di tre punti percentuali al netto dei fondi destinati a Grecia, Efsf, Esm) da 120,7% dello scorso anno. E, secondo le stime del governo, vi rimarrà anche nel 2013″.

“Nemmeno la personalità italiana che più ha riscosso credibilità internazionale nel campo della politica economica e che molti in Europa e in Italia vorrebbero ancora al timone del Paese, è dunque riuscita a invertire la tendenza storica del debito pubblico. E questo nonostante una gestione dei titoli di Stato condotta dal Tesoro con mano sicura ed efficacia in un anno di scadenze impegnative e mercato in fibrillazione“.

“Il trend, va detto, non è solo italiano. Per la zona euro si attende un debito/Pil a fine anno oltre il 90%, lontanissimo dal limite del 60% che i diciassette si erano dati al momento della nascita dell’euro. E questo pur in presenza – alcuni dicono a causa – di politiche restrittive nell’intera area”. (TMNews-ANSA-Reuters Italia)