Economia

Dal Giappone all’Italia: le lezioni economiche dal debito più alto del mondo

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Di Hassan Mohamed *

Con la chiusura dell’anno 2017, il debito pubblico globale è arrivato ad un livello elefantastico, sforando la soglia di €51.000 miliardi. Il record storico si è registrato pure per un paese come il Giappone, che ha visto un debito pubblico pari a €8.200 miliardi con rapporto debito-Pil esploso al 240%, il debito pubblico più alto al mondo. Secondo le teorie economiche di qualsiasi scuola di pensiero, questi numeri sono inquietanti e lo stato si dovrebbe trovare in malessere totale, però non è esattamente il caso per il Giappone.

L’Italia si trova con un debito pubblico inferiore a quello Giapponese, tuttavia si trova in uno stato svantaggiato al livello socio-economico. Qual è la differenza tra il Giappone e l’Italia in questo senso?

Il debito pubblico italiano ammonta a €2.286 miliardi con un rapporto debito-Pil pari al 131,5% in base ai calcoli pubblicati dall’ISTAT a marzo 2018. Circa il 35% del debito italiano è posseduto da creditori stranieri, ma nel caso giapponese è soltanto pari al 5%. Avere una somma minore posseduta da stranieri, consente maggior controllo dal paese debitore con più autonomia sulla stabilità finanziaria e ovviamente in caso di crisi la speculazione si potrebbe evitare, come avvenuto nel caso giapponese, ma non in quello italiano.

A prescindere della percentuale di debito posseduta da creditori stranieri ma nel corso degli anni il Giappone ha focalizzato su tre aree su cui azionare le proprie politiche economiche:

A) Priorità governativa

Dal Dopoguerra ad oggi, il governo giapponese ha portato avanti la propria politica fiscale tramite tre principali approcci:

  • Assegnazione di risorse: consiste nell’approvvigionamento dei beni pubblici a tutta la società in tutte le regioni;
  • Distribuzione del reddito: è stato materializzato tramite regressività tributaria, ristrutturarazione il sistema pensionistico e altre misure sociali;
  • Stabilizzatore automatico che ha aiutato a ridurre le fluttuazioni economiche.

Tali approcci hanno salvato il mercato giapponese dal monopolio dei servizi pubblici, infatti il Giappone è capace di influire i meccanismi di mercato autonomamente. In più la classe politica ha deciso di approvare altre misure per scuotere lo status quo della deflazione decennale tramite; la promozione del commercio internazionale e lo sviluppo delle piccole-medie aziende supportandoli ad essere più competitivi. Attualmente per il governo italiano la prima priorità è la stabilità politica ma parallelamente sono stati trascurati i fattori che influenzino sostanzialmente l’economia reale.

B) Sistema bancario

La stabilità dei sistemi bancari aiuta i vari governi a focalizzare sulla crescita dei propri paesi. Infatti, il Giappone ha un sistema bancario tra i più sani al mondo. Secondo i dati della Banca Mondiale, i crediti di difficile esigibilità giapponesi ammontano soltanto 1.4% dal totale dei prestiti concessi. Mentre l’Italia ha un portafoglio di 14.5% di crediti di difficile esigibilità secondo i dati pubblicati da Banca d’Italia in aprile 2018.

Mentre il Giappone si è costruito un sistema giudiziario efficiente, posizionandosi come numero uno al mondo nel processare le procedure di insolvenza, contrariamente l’Italia è posizionata alla 24esima posizione al mondo. Infatti i creditori italiani possono attendere in media sette anni per riscuotere i propri crediti. Inoltre, le banche in generale si reggono sui depositi per promuovere attività di un certo impatto finanziario, infatti i depositi giapponesi valgono più di €8.000 miliardi, mentre quelli italiani €1.400 miliardi.

C) Debito prudente

Il caso ideale si manifesta dove un paese spende per i propri beni pubblici con zero debito, tecnicamente non potrebbe esistere sotto queste circostanze economiche globali. D’altra parte, se un paese decide di indebitarsi, dunque, che se lo faccia portando una efficienza nei servizi pubblici, costruendo infrastrutture e mantenendo un livello alto di welfare esattamente come il Giappone. Tuttavia una grande parte del debito giapponese è posseduta dal governo stesso quindi facendo un netto di 140% di vero debito pubblico. In più i creditori del debito giapponese sono più del 90% appartenenti a investitori giapponesi.

Comunque, un debito così alto che è rapportato con l’aumento di interessi, non fa temere gli economisti giapponesi in quanto il paese ha una bassa soglia dell’Iva, pari a 8%, quindi le autorità hanno abbastanza margine per aumentare le tasse e conseguentamente incrementare le entrate pubbliche. Nel caso italiano, è stato generato un debito senza portare una certa efficienza nei servizi publici (ad esempio: L’Azienda per i Trasporti Autoferrotranviari di Roma è indebitata per più di €1,3 miliardi portando una inefficienza funzionale e disagio agli utenti che impatta direttamente la movimentazione sull’economia territoriale). L’Iva italiana equivale al 23% – e potrebbe aumentare ancora l’anno prossimo – offrendo poco margine al governo per aumentare ulterioramente le tasse, dunque meno entrate al governo.

Nonostante la fragilità del debito pubblico, l’italia è capace di replicare lo stesso successo giapponese. Attualmente lo stato politico italiano è instabile, non appena si formerà un governo di maggioranza se l’esecutivo vorrà aumentare il debito pubblico sa che va fatto con un margine e qualunque governo superi questo margine, deve ottenere l’approvazione delle Camere dopo aver rilevato i benefici e l’impatto sull’economia reale.

Aumentare le tasse non è una decisione favorevole alla cittadinanza, ma ridurrle è una decisione sfavorevole allo stato; al contempo tassare le aziende tecologiche crea un contesto sfavorevole alle aziende innovative e sopratutto alle start-up. In questo caso, si potrebbe presentare una analisi costi-benefici, evidenziando per esempio quanto contribuisce un robot a tutelare la sicurezza dei lavoratori nelle aree di pericolo, dunque andrebbe considerato il beneficio netto della tecnologia. Fornire appoggio alle aziende techonogiche animerà l’economia italiana portando innovazione a tutte le industrie e conseguentemente aumenterà la produttività, uno dei talloni d’alchile dell’Italia in periodi di difficoltà.

Il sistema bancario italiano potrebbe essere riformato senza compromettere l’integrità della struttura finanziaria tramite la dotazione di strumenti più efficienti nel sistema giudiziario, sopratutto per le procedure relative alle insolvenze finanziarie. D’altronde lo stato potrebbe offrire agevolazioni fiscali per le banche che prescrivono debiti di difficile esigibilità auitando le istituzioni finanziarie e le famiglie. Lo stato italiano potrebbe adottare misure per nazionalizzare il debito pubblico, ovvero riacquistare quanto di più del proprio debito, dando meno controllo ai creditori stranieri per evitare l’impossessamento dei beni publici in caso di mancanza dei pagamenti degli interessi.

Spendere per crescere è la ricetta che ha funzionato in Giappone e l’italia può fare lo stesso mirando delle politiche del tipo; isutrizione-a-occupazione e destinare ulteriori risorse finanziarie per la didattica di competenze tecniche trasferibile nel mondo del lavoro. Una pubblica amministrazione efficiente servirà sia all’utenza sia alle industrie, per far sì che la pubblica amministrazione diventi un generatore di profitto e non di costo. In più, il governo italiano potrebbe creare legislazioni volte a rafforzare la competitività del mercato, che a breve termine ridurrebbero le entrate tributarie dalle singole aziende, ma sul lungo termine favorirà l’ingresso di nuove aziende nel mercato. Si aumenteranno così le entrate dal totale complessivo delle aziende.

Se il Giappone ha usato il debito per generare benessere, allora la stessa formula funzionerebbe per l’Italia. La terza economia dell’area euro ha un vasto background industriale per potersi rilanciare e conquistare una nuova forma di leadership tra i paesi più industrializzati al mondo.

* London-based analyst