Società

D’ ALEMA QUERELA
E RILANCIA UNIPOL

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Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Sette querele, due interviste, una rivelazione. Per
Massimo D’Alema ieri è stato il giorno della grande
controffensiva. Cominciamo dalle querele: con l’ausilio
del suo avvocato Guido Calvi, anche senatore dei
Ds, l’ex premier ha composto una lista nera di tutti
quei giornali che a suo giudizio hanno trattato in malafede
la questione del conto leasing da lui aperto
presso Bpi per pagare le rate della barca a vela.

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All’indice
sono finiti per esempio tutti i quotidiani che hanno
pubblicato gli originali dei suoi estratti conto,quelli
che hanno messo in dubbio la sua ricostruzione di
come è stato acceso il conto (ieri suffragata da un comunicato
ufficiale del cantiere che ha costruito la barca)
e persino Il Tempo, che pur difendendo
nel merito D’Alema ha aperto
l’edizione di due giorni fa con il titolo
“In Barca con Fiorani”, sull’immagine
dell’ex premier a torso nudo a bordo
dell’Ikarus II.Il criterio delle querele?
«Abbiamo scelto tutte quelle che
siamo sicuri di vincere»,ha spiegato
D’Alema ai tanti che gli hanno telefonato
per offrirgli solidarietà. Paradossalmente,
nel giorno dell’attacco a
tutto spiano alla stampa italiana, in cima
alla lista dei giornali buoni c’è Europa,
il quotidiano della Margherita,di cui il leader ds
ha apprezzato l’ironico ma affettuoso corsivo di ieri
(«Ds e Dl sono sulla stessa barca»), apprezzamento
rinforzato dal piacere di pensare che la posizione, attribuita
al direttore Stefano Menichini, sia da ricondurre
ai rapporti tutt’altro che idilliaci tra il direttore
del giornale e Francesco Rutelli.

Se Menichini è il
prototipo del direttore buono, per D’Alema l’altra
faccia della medaglia resta Paolo Mieli. A Omnibus
gli chiedono: «Ritiene che ci sia il Corriere della sera
dietro la campagna che lei denuncia
nei suoi confronti?». E lui:
«Beh, basta leggerlo ogni mattina
per darsi una risposta». Non è insomma
servito a placare gli animi
l’intervento dal vicedirettore Pigi
Battista,che ieri ha firmato un articolo
dal titolo «In difesa di D’Alema
» sulla questione specifica del
leasing Bpi. «Ora mi aspetto che
Battista si dimetta», commentava
sarcastico D’Alema, che non vede
nulla più che un gioco delle parti
tra direttore e vice.

Anche perché,
barca a parte, l’ex premier vuol tenere
il punto anche sul cuore delle
polemiche, ovvero il suo sostengo
alla scalata di Unipol a Bnl e,risalendo
a ritroso,il via libera del governo
da lui presieduto alla scalata
Telecom di Roberto Colaninno
e soci: «L’opa di Unipol è legittima
– ribadisce D’Alema – se poi
qualcuno ha sbagliato sarà la magistratura
ad accertarlo.Un eventuale
errore di Consorte, che è un
manager, non toglie legittimità
alla scelta delle coop di acquistare
una banca». E su Telecom: «Il
mio governo non favorì nessuno,
lasciò che fosse il mercato a decidere
e quelli che dicono oggi il
contrario sono gli stessi che mi
chiesero di essere favoriti».

Se invece a D’Alema si chiede perché ci sia proprio
lui, e non altri, nel mirino delle polemiche politiche
e mediatiche, lui allarga il ragionamento, ma torna
comunque a evocare tra le altre la figura del direttore
del Corriere:«Io capisco chi dice che il postcomunismo
può rappresentare un ostacolo sulla via del
partito democratico.Però occorre che si metta da parte
anche il post-anticomunismo.Che non è più un anticomunismo
ideologico,ma è l’anticomunismo di chi
non ha mai voluto accettare il ruolo che il Pci ha svolto
in questo paese. Quello di chi negli anni Settanta
contestava il Pci da sinistra, negli Ottanta lo faceva in
nome del rampantismo, nei Novanta sostenendo le
ragioni dell’antipolitica e oggi la fa rimproverandogli
il presunto collateralismo con una parte dei poteri
economici. Il bello è che,se andiamo a vedere,
c’è chi si è fatto tutte le stagioni
di quest’anticomunismo una dopo
l’altra».Questa la risposta dalemiana a quanto
è già uscito sui giornali.

Ma come è stato per il caso
del conto Bpi, questione che
dopo due giorni di boatos
e chiacchiere incontrollate
è diventata
poi rapidamente
materia di titoli e articoli,
c’è già un’altra indiscrezione che circola da giorni e che
riguarda le intercettazioni delle conversazioni telefoniche
tra D’Alema e il presidente di Unipol Giovanni
Consorte. «Le intercettazioni di me che parlo con
Consorte? Non ho nulla da temere. Non c’è nulla.

E
poi penso di aver parlato con Consorte molto meno
che con Della Valle, che all’epoca in cui si è cominciato
a parlare delle scalate mi chiamava con molta più
insistenza». Così D’Alema ha tranquillizzato tutti i
compagni e amici che gli hanno
sottoposto il problema.Ai quali ha
anche garantito che si sente molto
rafforzato da questa vicenda: «Ho
ricevuto centinaia di messaggi di
solidarietà. Questo episodio del
leasing è servito a fare chiarezza.
Arrivo a dire che mi ha giovato.

Ha
aperto gli occhi a quanti credevano
che quella in corso fosse un’opera
di moralizzazione e di trasparenza,
mentre invece si è rivelata per
quella che è: una lotta di potere
condotta senza scrupoli». Quanto
alle conseguenze che tutta la vicenda
potrà avere sulle sue ambizioni
future, a qualcuno D’Alema
ha affidato a più d’uno la rivelazione
di cui si parlava all’inizio.Anche
qui il punto di partenza è una
domanda: come farà D’Alema a
entrare al governo a dispetto di
una parte importante dell’establishment
politico ed economico del
paese? A chi gli porge il quesito a
microfoni accesi l’ex premier risponde:
«Se sarò ministro lo deciderà
Romano Prodi». Off the record
la risposta cambia: «I potere
forti non mi vogliono al governo?
Non c’è problema: non ci andrò».
Fossimo in Fausto Bertinotti, non
penseremmo alla presidenza della
Camera come a cosa fatta.

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