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Crisi aziendale: ecco i principali modelli

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Cambia il concetto di crisi d’impresa, grazie alla riforma in vigore dal luglio 2006. Continua il viaggio del Denaro nel mondo della legislazione e delle nuove caratteristiche del fallimento e di tutti gli strumenti a esso correlato.

di Carmine Ruggiero

L’idea proposta dalla scrittura prevalente, anche se suggestiva, è criticabile e necessita di alcune precisazioni. Non tutti i tipi di crisi concedono necessariamente l’apprendimento; le crisi che si manifestano con ingenti perdite e che si traducono nel fallimento sostanziale dell’impresa ben difficilmente sollecitano l’apprendimento. Affinché ciò accada è infatti necessario che l’impresa possegga le competenze e le risorse necessarie per poter gestire il cambiamento e recepire gli stimoli imposti dalla crisi: un management disattento potrebbe, ad esempio, non cogliere le opportunità da esse offerte.
Nella dottrina aziendale, il concetto di crisi è variamente definito. E’ possibile riscontrare divergenze interpretative sul concetto di crisi. L’economia aziendale usa il termine di crisi per indicare fenomeni di diversa gravità ed ampiezza e ovviamente in conseguenza di ciò cambiano anche le cause responsabili della crisi e le modalità di risanamento. Alcuni studiosi (Forestieri) utilizzano il termine di ‘crisi’ come sinonimo di insolvenza per ciò un impresa entra in crisi quando non è in grado di far fronte alle proprie obbligazioni, o meglio quando vengono meno le condizioni di liquidità e di credito necessarie per adempiere, regolarmente e con mezzi normali, alle obbligazioni assunte. Questa branca dell’economia aziendale è riconducibile allo sviluppo di una serie di modelli che analizzano la significatività dei quozienti di bilancio.
Tali modelli, quindi, considerano soprattutto le condizioni finanziarie dell’azienda dando particolare importanza alla struttura del suo patrimonio.
Detta concezione è stata oggetto di critiche da parte della letteratura manageriale in quanto le valutazioni di bilancio sono sensibilmente influenzate dai pareri soggettivi degli amministratori, nonché dalle politiche di bilancio adottate dagli stessi anno per anno.
Tali politiche, come è noto, alterano alcune poste rilevanti del bilancio (gli ammortamenti, le scorte, ecc.), rendendo poco significativa l’analisi comparata delle stesse.
Inoltre le tecniche di valutazione dei quozienti di bilancio acquistano significato solo in termini di confronto (ad esempio tra valori attuali e passati), divenendo irrilevanti se analizzati in maniera assoluta.
Altri aziendalisti, invece, ne parlano come un momento conclusivo di un ciclo gestionale negativo, identificandolo con la mancanza di profitti o nella perdita di capitale. In tal senso la crisi diventa un fatto inevitabile per l’impresa che si trova nella fase terminale preludendo alla sua liquidazione o al suo smembramento. Secondo Capaldo, infatti, si può parlare di crisi quando “l’impresa non è più in grado di arrestare il deterioramento sicché, in mancanza di un intervento esterno, essa va inevitabilmente al dissesto”.
La differenza di questo tipo di crisi dalla precedente sta nel fatto che quest’ultima deriva da errori commessi nel passato, che la gestione non ha risolto e che difficilmente possono essere fronteggiati.
Il concetto di crisi aziendale è anche correlato alle diverse teorie sulla natura dell’impresa a cui si può fare riferimento. La teoria istituzionalista dell’impresa, iniziata da Gino Zappa (1959), vede l’impresa come un istituto economico duraturo dotata di una propria soggettività.
Di conseguenza l’impresa è in crisi quando vengono meno gli elementi e i presupposti istituzionalisti: la stabilità di governo, l’autonomia imprenditoriale, l’orientamento di lungo termine, l’autosufficienza economica. Nella teoria organicistica l’impresa è un organismo vivente e dotata di un ciclo vitale nel lungo periodo; la crisi è vista come il momento conclusivo di questo ciclo o come un passaggio necessario per poter rinnovare la propria cultura, la propria struttura organizzativa, la propria strategia.
In quest’ottica la crisi aziendale si manifesta nel deterioramento delle risorse e delle competenze aziendali che erano sorte in funzione dell’ambiente esterno oppure come momento di cambiamento interno volto a modificare gli elementi caratterizzanti dell’impresa stessa.
La teoria sistemistica concepisce invece l’impresa come un sistema ben definito che presenta alcune caratteristiche distinte che ne fanno un sistema unico; tra le tante l’impresa è un sistema aperto,complesso, dinamico, autopoietico.
Ciascuno di questi attributi può essere rivelatore di crisi, per cui, nella prospettiva sistemistica, la crisi viene definita come il non corretto funzionamento di alcuni di questi caratteristiche che individuano il sistema impresa.
Alcuni studiosi ancora analizzano il concetto di crisi nell’ambito della teoria contrattualistica dell’impresa, mettendone in evidenza il carattere prettamente giuridico, considerando un impresa in crisi quando raggiunge il fallimento o un’altra procedura concorsuale. La crisi, quindi, è il punto di partenza delle procedure concorsuali e lo stadio finale del ciclo aziendale. Questo criterio non risulta valido in quanto, pur avendo il pregio dell’immediatezza, descrivere solo a posteriori la crisi senza spiegare le ragioni e il percorso patologico che hanno portato alla procedura concorsuale. Tuttavia la teoria italiana di maggior rilievo nell’ Economia Aziendale è sicuramente contenuta all’interno del sistema dei principi dell’Economia aziendale “pura” definito da Aldo Amaduzzi e ripresa poi da molti altri.