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Citigroup spiega chi c’è dietro al rialzo continuo delle Borse

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Il piano di uscita dalle misure di stimolo monetario della Bce, che ha avviato il percorso cosiddetto di tapering, apprestandosi a staccare gradualmente la spina al suo bazooka monetario (la cui gittata è stata già ridotta da 60 miliardi a 30 miliardi di euro al mese), e il quantitative tightening della Fed non hanno impedito alle Borse di inizia l’anno in ottima salute.

Nel 2018 i titoli dei grandi media finanziari sono pieni di riferimenti al “melt-up“, una specie di surriscaldamento dell’azionario durante il quale grandi somme di denaro sono investite nelle Borse in un breve lasso di tempo. Alcuni dei principali indici di Borsa si sono già portati su livelli superiori agli obiettivi di fine anno di alcuni gestori e analisti. Come è possibile spiegare l’incredibile corsa dei listini in un momento in cui le banche centrali finalmente si sono decise a ridurre i loro bilanci e arrivare a una graduale normalizzazione della loro politica monetaria?

Il team di ricerca di Citigroup specializzato nel mercato creditizio pone l’accento su un elemento di cui le banche centrali nel fare le loro proiezioni non hanno evidentemente tenuto conto: la mole di asset rischiosi presenti nei bilanci delle banche centrali di Usa, Eurozona e Giappone sta diminuendo, ma allo stesso tempo ci sono alcuni altri grandi gestori di riserve che stanno andando nella direzione opposta.

Secondo i calcoli degli analisti di Citigroup la risposta è che, anche se Bce e Fed stanno riducendo i loro bilanci e quindi anche le iniezioni di liquidità sui mercati, l’incremento delle riserve valutarie straniere da parte dei paesi dei mercati emergenti ha controbilanciato la situazione, colmando di gran lunga il vuoto lasciato dal ridimensionamento dei programmi di Quantitative Easing delle autorità monetarie d’Occidente.

La settimana scorsa la Cina ha fatto sapere che le riserve in valuta estera sono salite per l’11esimo mese di fila a dicembre, alla fine di un anno in cui sono stati imposti controlli di capitale e in cui l’economia ha continuano a espandersi a buoni tassi di crescita. L’incremento mensile è stato di $20,7 miliardi a dicembre a quota 3.140 miliardi. Nei 12 mesi le riserve si sono gonfiate di $129 miliardi.

L’idea che ci sia la Cina dietro al balzo imperterrito dei mercarti azionari era già stata avanzata da un altro team di analisti sempre di Citigroup, secondo I quali sembra che “la banca centrale cinese stia iniettando un bel po’ di liquidità nella parte breve della curva dei rendimenti negli ultimi giorni, con una serie di tassi dei mercato interbancario in calo e con il rendimento a un anno dei bond cinesi in riduzione di 21 punti base da inizio anno, mentre i rendimenti dei titoli a 5 e 10 anni sono rimasti grossomodo invariati”.

Se gli analisti di Citigroup ci hanno effettivamente visto giusto, allora questo spiegherebbe molte cose, in particolare l’incredibile scatto in avanti dell’azionario della Cina ma anche del resto del mondo, persino in Usa. La teoria degli esperti della banca Usa è che queste operazioni in Cina abbiano sostenuto i mercato azionari. Non a caso, proprio quando la Cina ha cambiato politica con gli accordi segreti di Shanghai di inizio 2016, l’indice allargato di Wall Street, l’S&P 500 ha vissuto 21 mesi su 22 di crescita della sua capitalizzazione.

Nel febbraio 2016 Pechino ha adottato il suo piano top secret, nella logica delle guerre valutarie che vanno in scena dal 2010, per svalutare lo yuan senza provocare perdite sulle Borse Usa. Come ha fatto? Ha riconosciuto che dollaro e yuan non erano le sole monete coinvolte nella ‘partita”.

Sul Forex se c’è un vincitore c’è anche un perdente: è difatti ovviamente impossibile che l’euro e il dollaro si indeboliscano simultaneamente sul cross tra le due divise. Tuttavia è possibile che tutte le monete si svalutino rispetto all’oro. La soluzione trovata dalla Cina è stata quindi quella di svalutare lo yuan ma non rispetto al dollaro, svalutando al contempo anche il biglietto verde.