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Bankitalia: governo promuove export nel modo sbagliato

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ROMA (WSI) – La produttività in crescita del settore dell’export è uno dei motivi principali per cui il governo promuove le esportazioni, ma in Italia un quarto delle società manifatturiere esportano all’estero beni che poi sono venduti da gruppi – spesso stranieri – che non sono i veri produttori.

Secondo un’illustre economista di Bankitalia, per far crescere il settore manifatturiero si potrebbe dunque liberalizzare il commercio di beni e servizi.

Le aziende hanno un premio di produttività notevole, ma molte società “superstar” non sono anche “super produttori”, dice in un report Virginia Di Nino, economista della Banca d’Italia specializzata in Commercio Internazionale e mercati in Via di Sviluppo.

Questo fenomeno, che va sotto il nome di “carry along trade”, rende molto difficile valutare quali siano i gruppi meritevoli di essere aiutati. Un esempio lo offre una macchina del caffé prodotta interamente da De Longhi, ma venduta da Nespresso nei suoi negozi.

Una caratteristica interessante che hanno le imprese attive nell’export è proprio che gran parte delle esportazioni è costituita da beni che non sono prodotti dall’azienda che li vende, ma da un’impresa terza. “I migliori esportatori non sono necessariamente anche i migliori produttori”, dice Di Nino.

La promozione a livello politico di iniziative legate all’export consente ai paesi di migliorare le performance economiche, alimentare la crescita del Pil e creare nuovi posti di lavoro, sinanche migliori. Tuttavia tali politiche possono essere “efficaci solo se riescono ad individuare correttamente le società da favorire e le loro peculiarità”. Per farlo bisognerebbe tenere conto anche del carry along trade, una tecnica attuata dal 36% dei gruppi esportatori.

Le vere competenze in questo caso sono da individuare nel marketing e nella capacità di accedere alle giuste reti commerciali di vendita, piuttosto che nell’abilità di produrre prodotti a basso prezzo o di alta qualità.

Ne consegue che anche le politiche industriali e commerciali dovrebbero essere orientate diversamente. “Il governo non può ignorare che la produttività non rappresenta semplicemente la capacità di un’azienda di combinare i principali fattori in termini di input con il processo di produzione”.

Spesso cosa impedisce alle imprese di esportare non è la mancanza di abilità manifatturiere, ma gli ostacoli che si presentano nel vendere il prodotto finale. Per questo motivo sono spinte ad affidarsi a società terze per la vendita sul mercato.

Se quello che manca è l’abilità di vendere e non di produrre, allora “la liberalizzazione del commercio dei servizi può avere un impatto positivo sul commercio dei beni manifatturieri”.

“L’interazione sempre più stretta tra i due settori – conclude l’economista – merita l’attenzione delle autorità politiche impegnate in tutti i negoziati che riguardano gli accordi commerciali”.

Fonte: Bankitalia

(DaC)