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Banche cambiano idea: Italia potrebbe essere la sorpresa positiva, nel 2013 come i Bric

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Milano – Crediamo che l’Italia possa diventare una sorpresa positiva nel 2013, specie considerando il basso livello da cui parte e le opinioni negative che la circondano». Firmato Jim O’ Neill, che per i non addetti ai lavori è il «guru» degli investimenti del colosso bancario americano Goldman Sachs.

Dunque, mentre la fiducia dei consumatori italiani è ai minimi da oltre tre lustri e il barometro della crescita pare fisso sul segno meno, a vedere la luce in fondo al tunnel non è un politico in vena di ottimismo, ma un nome di gran peso a Wall Street.

La nostra economia, spiegano infatti O’ Neill e i suoi analisti, potrebbero dare presto soddisfazioni perché «anche se la recessione continua, i nostri indicatori più recenti per l’Italia suggeriscono che abbiamo oltrepassato il punto più basso del ciclo» economico. Dette dall’uomo che è passato alla storia della finanza anche per aver coniato nel 2001 l’acronimo Bric – ossia Brasile, Russia, India e Cina, considerati all’epoca, e non solo all’epoca, i mercati emergenti con più alte prospettive di crescita – sono parole incoraggianti.

Anche perché, guardacaso, nel suo studio mensile appena pubblicato Goldman Sachs torna proprio ai Bric in una versione leggermente rieditata e per noi inedita: «Crediamo che il mercato azionario cinese possa finalmente correre e che le azioni in Russia, Brasile e Italia possano andare anch’esse bene». Solo qualche anno fa essere inseriti in questo pacchetto di mischia avrebbe rischiato di provocare l’incidente diplomatico. Adesso, quasi inutile dirlo, non c’è imprenditore o azionista che non speri di vedere l’Italia accomunata a quei Paesi, nuovi Eldorado della crescita globale.

La scommessa italiana di Goldman Sachs è tanto più significativa se si pensa che appena cento giorni fa – era agosto – la stessa banca aveva annunciato un taglio drastico alla sua esposizione sue debito sovrano italiano: dai 2,5 miliardi di dollari in Bot e Btp che aveva in portafoglio alla fine del secondo trimestre era passata a soli 191 milioni di dollari al termine del terzo trimestre. Come a dire una riduzione del 92%.

E’ vero che le dinamiche dei titoli di Stato – e le preoccupazioni sulla loro affidabilità – non hanno necessariamente un legame diretto con l’andamento dell’economia reale. E di sicuro, tra le alte muraglie che Goldman Sachs ha certamente eretto tra i suoi settori, gli uomini della ricerca economica non influenzano quelli che si occupano di debito sovrano. Ma resta il fatto che la stessa banca che ad agosto scaricava sul mercato l’Italia adesso avvisa che da queste parti potrebbe esserci qualche sorpresa positiva.

Non aspettatevi però un esercizio di cieco ottimismo da Goldman Sachs, che del resto non si sbilancia in previsioni puntuali sulla crescita italiana, limitandosi a pronosticare uno 0,2% per il Pil della zona euro nel 2013 e un 1,5% l’anno successivo. Nel suo studio la banca mostra come l’Italia, sola tra i Paesi della periferia dell’euro, non sia riuscita in questo decennio a ridurre il costo del lavoro relativo per unità di prodotto. «Il rischio» per la possibile crescita, si avverte, «è il ritmo a cui vengono applicate le riforme strutturali», in particolare quelle sul mercato del lavoro.

Non sono i soli, comunque, gli americani, a consigliare ai loro clienti di scommettere sul nostro Paese. Solo poche settimane fa anche gli analisti finanziari di Deutsche Bank hanno scritto che «l’Italia guiderà la ripresa della zona euro». Il ragionamento, semplificando all’estremo, è che i prestiti delle banche alle imprese si sono ridotti sensibilmente, ma al tempo stesso le aziende hanno ridotto in modo sostanziale le loro scorte. Un doppio rallentamento a cui bisognerà mettere presto mano e che, secondo gli analisti della banca tedesca, «potrebbe rimettere l’Italia sulla strada della crescita. E crediamo che là dove va l’economia italiana, anche l’economia europea seguirà». Anche in questo caso un bel cambio di rotta, visto che un anno e mezzo fa la Deutsche Bank aveva ridotto repentinamente – un taglio dell’88% – la sua esposizione in titoli di Stato italiani.

Le grandi banche e i loro analisti non sono infallibili – il caso Lehman Brothers e i giudizi espressi fino alla vigilia del suo crollo stanno là a ricordarcelo – ma mentre l’industria vive con un’orizzonte breve, che in Italia appare per molti ancora plumbeo, la finanza cerca sempre di gettare lo sguardo un po’ più avanti per individuare possibili guadagni. C’è da sperare che questa volta siano buoni profeti.

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